L'Anas doveva 83 milioni a Vidoni e chiedeva tangenti per darglieli

L’imprenditore friulano, accusato di corruzione, ha raccontato la sua verità. Fra i lavori mai pagati c’è anche la galleria di Forni Avoltri

UDINE. 83 milioni di euro. A tanto ammonta il conto presentato all’Anas dalla Vidoni spa. Tutti soldi che la società che gestisce la rete stradale ed autostradale di interesse nazionale per conto del ministero dell’Economia e delle finanze, deve ancora pagare per lavori già eseguiti dall’impresa di Tavagnacco.

Più che un debito, una voragine capace di inghiottire e far scomparire anche un’azienda solida con cantieri in mezza Italia e all’estero e 231 dipendenti. Perché quello, molto probabilmente, sarebbe stato il destino della Vidoni senza far ricorso ai “servizi” della Dama nera. Ecco la verità di Giuliano Vidoni che martedì sarà interrogato dal gup del tribunale di Roma, Giulia Proto.

L’imprenditore settantenne, che si trova agli arresti domiciliari nella sua residenza di Grado con l’accusa di corruzione, ha raccontato al suo avvocato difensore Luca Ponti le difficoltà in qui si trovava l’azienda a causa dei mancati pagamenti da parte dell’Anas, prima stazione appaltante d’Italia.

Difficoltà che si spiegano molto bene prendendo in considerazione soltanto pochi numeri. La Vidoni infatti ha un fatturato di circa 40 milioni di euro e il credito maturato solo nei confronti dell’Anas è più del doppio: «Ottantatre milioni - precisa Ponti - ai quali vanno poi aggiunti gli interessi e la rivalutazione che attualmente porterebbero la somma complessiva a superare i 100 milioni di euro. In alcuni casi parliamo infatti di lavori conclusi 15 anni fa».

Facile immaginare quindi che Giuliano Vidoni si sia trovato con l’acqua alla gola. La “preda” perfetta per cadere nella rete della Dama nera, come i finanzieri hanno ribattezzato Antonella Accroglianò, la dirigente Anas a capo del sodalizio criminale che gestiva il vorticoso giro di mazzette che girava attorno agli appalti pubblici.

Tangenti Anas, le intercettazioni che coinvolgono Vidoni
Un fermo immagine tratto da un video della Guardia di Finanza nell'ambito dell'inchiesta 'Dama Nera', Roma, 22 ottobre 2015. Protagonista Antonella Accroglianò, dirigente responsabile del coordinamento tecnico amministrativo di Anas, donna chiave della vicenda denominata la "dama nera". ANSA/UFFICIO STAMPA GUARDIA DI FINANZA ++ NO SALES, EDITORIAL USE ONLY ++

La Dama nera, insieme ad altri 4 dirigenti è finita in carcere e deve rispondere di associazione a delinquere. Il presidente dell’Anas, Gianni Vittorio Armani ha annunciato che «i dipendenti corrotti, come già accaduto dopo i fatti di Firenze, una volta acquisiti gli atti dei provvedimenti giudiziari, saranno licenziati in tronco e senza indennizzo».

In una lettera ai dipendenti li ha anche invitati a «utilizzare lo strumento del “whistleblowing” (la procedura per la segnalazione di illeciti e irregolarità che tutela l’anonimato di chi denuncia)». La volontà sembra essere insomma quella di fare piazza pulita e voltare pagina.

Lo stesso Armani ha confermato che Vidoni si era rivolto alla Dama nera per un pagamento di milioni di euro per lavori già effettuati ed è per questo motivo che Ponti non esclude che l’accusa di corruzione possa trasformarsi poi in concussione.

Nell’elenco delle opere concluse e non ancora saldate c’è infatti il tunnel della variante di Tors, sulla statale 355, tra i Comuni di Rigolato e Forni Avoltri, una galleria lunga 1.285 metri, scavata nella roccia dall’impresa Vidoni e inaugurata nel 2007 dopo anni di lavori mai pagati.

È per avere i suoi soldi che Giuliano Vidoni ha ceduto, nelle ipotesi dell’accusa, al “ricatto” della Dama nera. In un’intercettazione del 16 luglio la Dama nera rassicura Vidoni su un pagamento da 4 milioni di euro dicendo: «Meno male che ha trovato persone che le stanno vicino.. pensi se fosse stato solo.. lei ha visto che assistenza?»

Subito dopo l’imprenditore friulano parla con uno dei 5 dirigenti arrestati: «Senti mi faccio vedere domani mattina... e poi.. mi preparo un po’ di... materia prima.. va bene? Allora non aspetto la dottoressa..». Gli investigatori sono convinti che Vidoni abbia pagato una tangente. Ma non solo. Anche l’assunzione di un “raccomandato” alla società consortile Firmo Sibari di Roma (che ha, oltre a Vidoni, altri due soci, ma il cui legale rappresentante risulta essere Marco Vidoni) è considerata il frutto degli accordi presi con la Dama nera.

In cambio dell’appoggio elettorale in favore di suo fratello Galdino nella corsa al Consiglio regionale della Calabria, la Dama nera promette un’assunzione che poi chiede di effettuare alla Vidoni promettendo all’imprenditore friulano una corsia preferenziale nei pagamenti.

Così il cerchio si chiude: la Dama nera ottiene voti per il fratello e tangenti (parte delle quali finisce nella casa della madre dove i finanzieri hanno trovati 70 mila euro in contanti nascosti nel controsoffitto) per “ridurre il ritardo” nei pagamenti di quanto l’Anas deve alla Vidoni.

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