L'alluvione, dieci anni dopo FOTO 1 - FOTO 2 - FOTO 3 - FOTO 4

Sette comuni devastati in pochi minuti da acqua e fango, due vittime a Ugovizza e Malborghetto. La ricostruzione è riuscita, ma lo sviluppo manca
ANTEPRIMA Udine 30 agosto 2003. MALTEMPO A PIETRATAGLIATA . Telefoto Copyright Foto Agency Anteprima www.anteprimafoto.it
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MALBORGHETTO. «L’aria era carica di umidità, sentivo che c’era qualcosa che non andava, ero con la famiglia in alta montagna e quel pomeriggio ho deciso di ritornare a Ugovizza».

Già, l’aria era carica di umidità, le previsioni erano pessime, ma il sindaco di Malborghetto-Valbruna, Alessandro Oman, non poteva certo immaginare che quel 29 agosto di dieci anni fa dal cielo sarebbero caduti in quattro ore 400 millimetri di pioggia, una quantità d’acqua colossale che avrebbe cambiato in pochi minuti la geografia dell’Alto Friuli, portando in 7 Comuni morte e distruzione.

Dopo il terremoto del 1976, l’alluvione che ha investito le valli tra Tarvisio e Moggio è stata il disastro più grande. Due morti, Gertrude Schnabl e Bruno Urli, l’una di Ugovizza, l’altro di Malborghtto. Oltre 500 sfollati nel solo comune di Malborghetto. Danni a case private, strade, edifici pubblici per quasi mezzo miliardo di euro.

Un evento che mise a dura prova la gente di montagna, i soccorritori, i volontari, centinaia di uomini che operarono per giorni interi con grande professionalità. E le istituzioni, a tutti i livelli, che fecero squadra per assicurare una rapida fine dell’emergenza e i tanti denari per la ricostruzione.

«Mancano pochi interventi di sghiaiamento e consolidamento dei corsi dei fiumi specie in quota – spiega Oman –, ma adesso i soldi sono finiti. Per il resto il territorio è stato messo in sicurezza, l’Uque a Ugovizza non fa più paura e la gente non deve più trattenere il fiato ogni volta che piove. Anche il campanile è rinato, grazie alla solidarietà della Regione Veneto».

Oman indica il fiume che scorre in un letto rinforzato adeguatamente da sponde in cemento. Dieci anni fa il fiume invase invece il paesino, portando acqua e fango fino ai secondi piani delle case. Solo i tempestivi avvertimenti dati dalla Protezione civile regionale alle squadre dei soccorritori e il coraggio di pompieri e carabinieri impedì un’ecatombe.

«Sono fiero di quei volontari, del loro coraggio. Della squadra di tecnici che poi per anni ha portato avanti la progettazione e l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza», spiega il direttore generale della Protezione civile, Guglielmo Berlasso, che ricorda, oltre alla «straordinaria capacità di reazione della gente, anche il grande supporto ricevuto dal dipartimento nazionale».

Ugovizza ora è un paese rinato, le case vicino all’Uque sono ancora lì, risistemate e ridipinte, ma non delocalizzate, perché la gente, come accadde dopo il terremoto del 1976 a Gemona e dintorni, non ha voluto sapere di andarsene. Il tempo le ha dato ragione. Gli interventi di messa in sicurezza hanno addomesticato il fiume.

Si è visto nel settembre di 6 anni dopo, quando le piogge sono state pressoché innocue come in tutti i territori oggetto d’interventi. Uque è tornato ad essere una risorsa, anche per la centralina da 250 mila euro l’anno che “salva il bilancio” al Comune. Ugovizza fu l’epicentro del disastro. Scendiamo poi a Malborghetto, in via Superiore, dove morì il povero Bruno Urli, risistemata e con l’abitato di Cucco, dieci anni fa aggredito da una frana e ora messo in sicurezza con una ciclopica opera progettata dalla protezione civile regionale.

Quindi Pontebba, l’altro epicentro dell’alluvione, senza però dimenticare gli ingenti danni di Tarvisio, Resia, Resiutta, Chiusaforte e Moggio, con la val Aupa squassata dalle piogge. Pontebba dieci anni fa fu invasa dalle acque dei rii Pontebbana e Bombaso (che squarciò in più punti la strada “degli sciatori” per Passo Pramollo), mentre il Fella, più a valle, si portava via il ponte e una casa di Pietratagliata isolando la frazione per giorni.

Proprio la straordinaria sequenza fotografica della casa che crolla, realizzata dall’allora fotografo del Messaggero Veneto, Angelo Comoretto, ha fatto il giro del mondo divenendo il simbolo della tragedia e contribuendo anche ad accendere i riflettori dell’opinione pubblica su quelle valli devastate. Come per il sisma del ’76, la generosità fu enorme.

Ecco allora il ponte di Pietratagliata ricostruito grazie alla sottoscrizione avviata dal Tg5, il ponte per Pramollo anche grazie ai carinziani e innumerevoli iniziative di enti e associazioni. Il Messaggero Veneto raccolse grazie alla generosità dei lettori oltre 250 mila euro, subito destinati a progetti sul territorio.

Ne ricordiamo uno per tutti: i corsi di nuoto ai bimbi delle elementari di Pontebba per aiutarli a vincere la paura dell’acqua. Ora quei bimbi, guidati allora da una tenacissima maestra Buzzi, sono maggiorenni. Trovano paesi ricostruiti e messi in sicurezza. Ma non lo sviluppo.

«Bisogna puntare sul turismo di qualità, ma anche sulle realtà produttive, sull’artigianato, sull’hi-tech, bisogna sfruttare al meglio la risorsa bosco», spiega il sindaco di Malborghetto Oman. Perché l’atteso sviluppo non è arrivato in questi anni. È la nota stonata di questo spartito. L’ultima, ma quella che resta.

Argomenti:alluvione 2003

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