Laila, assunta e morta in fabbrica a 40 anni: divorata dal macchinario come Luana

Era una mamma Laila El Harim. Ed era una operaia. Un macchinario per piegare i cartoni e farne vassoi per dolci, ieri mattina, l’ha ghermita, trascinata tra le piastre d’acciaio che si alzano e si abbassano per dar forma e taglio a dei grossi fogli di carta spessa così, e l’ha ammazzata. Laila aveva 40 anni. Ed era mamma di una bimba nata nel 2016, di nome Rania. Aveva due sogni. Una vacanza tra qualche settimana con Emanuele, il papà di Rania. L’altro lo aveva appena realizzato: un lavoro nuovo. Lo aveva ottenuto un mese fa, in una fabbrica dalle radici solide, di quelle che non ti fanno aspettare lo stipendio o che non ti pagano per mesi.
L’azienda si chiama “Bombonette”, alla periferia Camposanto, un paese grosso un pugno, a 20 chilometri da Modena, un’ottantina di addetti, part-time e no, un secondo stabilimento inaugurato qualche mese fa: segno che le commesse non mancavano. Laila è la vittima numero 221 di incidenti sul lavoro in questo anno orribile per le tragedie nelle fabbriche, nei cantieri, ovunque ci sia gente che si spacca la schiena. E già si cercano analogie con un’altra mamma, un’altra donna morta in una fabbrica: Luana D’Orazio, stritolata da un orditoio a Prato. Era maggio. Ma cercarle adesso è troppo presto, mancano troppi elementi. Mancano i rilievi degli ispettori del lavoro, che devono dar risposte ai quesiti della Procura. Manca tutto. E allora capire diventa complicato. Ricostruire ciò che è accaduto ieri poco dopo le 8 è ancora più difficile. E così, davanti alla fabbrica, alle cinque del pomeriggio, si ritrova un gruppo di operaie e impiegate: parlano, si confrontano, piangono. Poi qualcuno apre una porta, e tutte s’infila tra i bancali del magazzino, e vanno a posare un mazzo di fior bianchi davanti al macchinario che ha ammazzato Laila: «I tuoi colleghi».
Su negli uffici della “Bombonette” c’è il patron di questa fabbrica, ma non ha voglia di parlare con nessuno. Si chiama Fiano Setti, e in paese lo conoscono tutti. L’ha fondata – dicono – più di quarant’anni fa. Ed ha sempre «marciato come un treno». Aveva anche rilanciato la raccolta di firme a sostegno del figlio di Luana D’Orazio, morta sul lavoro a 22 anni. Problemi? Pochi. A parti quelli causati dal lockdown dello scorso anno, quando si erano aperte le procedure per la cassa integrazione. E poi il turnover di addetti. Sindacati? Nessuno. Le rappresentanze sindacali interne non esistono. Proteste? Trovarle non è complicato, ma chi parla lo fa senza dire i nomi. Perché non ci sono le rappresentanze dei lavoratori? «Perché nessuno vuole esporsi. Siamo una fabbrica piccola, cerchi di capire».
Ci sono problemi interni? «I soliti: qualcosa che potrebbe essere migliorato, qualcosa che si potrebbe fare in modo differente» . Che alla “Bombonette” i sindacati, non siano di casa lo confermano tutti. Anche Manuela Gozzi, della Camera del lavoro di Modena: «È una fabbrica assolutamente sconosciuta. L’abbiamo incrociata soltanto per alcuni aspetti legati alla cassa integrazione nel periodo della pandemia. Poi il nulla». Denunce dei lavoratori? «Mai una segnalazione». Problemi con l’Ispettorato del lavoro? «Zero».
Poi però copri che in una provincia laboriosa come quella di Modena, gli ispettori sono pochi per fare controlli a tappeto nelle 58 mila imprese della zona. Pertanto, come dice Manuela Gozzi: «Le verifiche vengono fatte ad ogni morte di Papa. Secondo i nostri calcoli manca almeno il 30% del personale ispettivo». E quando dice questo lo fa spiegando bene che no, la «Bombonette non c’entra. Il discorso è generale. Adesso devono parlare i periti». E mentre Gozzi parla piangono le compagne di lavoro di Laila, quando escono dalla fabbrica dopo aver posato i fiori. Arriva un uomo a prendere un’auto scura: «Era la sua». La adoperava per andare e tornare da un paese a una manciata di chilometri da qui: Bastiglia. Qui c’è la sua nuova casa: un alloggio moderno nel quale vivere con Emanuele – il compagno – e Rania.
Il resto sono istantanee di Laila tutta proiettata nella sua nuova esistenza. Il fine settimana a Gallipoli – «in treno o in macchina, lo ha fatto tutto il mese» – per andare a trovare Rania, in vacanza con i nonni materni. Le chiacchiere con le colleghe. le confidenze: «Dai ragazze, speriamo mi tengano: in questa fabbrica io ci sto bene».
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