La trota del Friuli fa ricchi gli altri

UDINE. Oltre ai vini, al prosciutto di San Daniele e al Montasio, il paniere del Friuli Venezia Giulia conta su un’altra bandiera dell’agroalimentare, la trota, che i piscicoltori regionali producono per il 40% del totale nazionale.
Un volume straordinario al quale, purtroppo, non corrisponde una altrettanto strutturata filiera produttiva, capace di passare dall’allevamento alla trasformazione più evoluta, garanzia di maggiori marginalità di guadagno. Dunque una straordinaria possibilità non utilizzata. Su poco meno di 80 allevamenti attivi, soprattutto tra le province di Udine e Pordenone, si contano infatti su una mano quelli che si dedicano anche alla trasformazione del prodotto. Gli altri, soddisfatto il mercato interno del Friuli Venezia Giulia, “lasciano” che la trota prenda la via delle vicine regioni per inserirsi nelle loro filiere e garantire lì, fuori dal Fvg, margini più considerevoli.
Esporsi a qualche investimento, anche se il periodo di crisi non invoglia, e soprattutto fare squadra dal punto di vista commerciale potrebbero essere la soluzione al problema garantendo ai friulani una leadership nella produzione di trota a livello nazionale, che pare, sia per qualità che per quantità, davvero a portata di mano.
La trota friulana La produzione annua si attesta tra le 10 e le 13 mila tonnellate, di cui il 70% di trota salmonata, il 30% bianca, incide, come detto, per circa il 40% sulle 38 mila tonnellate italiane e corrisponde a un prodotto lordo vendibile stimato in 50 milioni di euro. Gestiti da 44 imprese di troticoltura, i 77 siti di allevamento, dislocati in particolare nelle zone di Fontanafredda, Cordenons e Zoppola in provincia di Pordenone, e nell’area di Codroipo e San Daniele in provincia di Udine, sono votati per lo più alla produzione di fresco e solo in piccola parte si dedicano anche a operazioni di trasformazione come l’affumicamento a caldo e a freddo.
Qualità A detta di tecnici e produttori è altissima grazie alla bontà delle acque regionali interessate dal maggior fenomeno di risorgive d’Europa. Gli allevamenti di grandi dimensioni da un lato, che garantiscono alle trote maggiore spazio rispetto a quelli intensivi, e dall’altro l’estrema pulizia dell’acqua, creano le condizioni ideali per la crescita della trota friulana, che con il San Daniele e il Montasio completa il tris dei prodotti bandiera del comparto, pur non vantando (non ancora) una certificazione europea che i cugini prosciutto e formaggio invece hanno già.
Mercato È ancora il mercato interno ad assorbire la gran parte del prodotto trota. Nel caso del Friuli Venezia Giulia solo il 25% finisce all’estero, specie in paesi come l’Austria e la Germania, mentre il 75% resta all’interno dei confini nazionali: nel 65% dei casi sotto forma di materia prima – in particolare il 35% come trote vive e il 30% come fresco intero eviscerato –, e solo nel 35% come prodotto trasformato.
Troppa burocrazia «Negli ultimi anni siamo stati stazionari – spiega Pierantonio Salvador, il presidente regionale dell’Api (associazione piscicoltori italiani) –, ma siamo calati considerevolmente rispetto a un tempo per colpa della burocrazia sempre più pressante e onerosa. Oltre alle tasse e alle imposte, dobbiamo fare i conti con un pesante impatto burocratico, che tra permessi, canoni, autorizzazioni e via dicendo, incide sui costi delle nostre aziende per l’8, anche il 10%». I produttori chiedono uno snellimento delle procedure laddove queste non incidano sulla sicurezza del prodotto. «Bisogna ridurre l’impatto burocratico quando non è funzionale alla qualità e alla sicurezza. Finiamola – tuona il presidente dell’Api – con la carta per la carta, che ingessa le imprese e ne aggrava i costi già elevati, andando a sommarsi con le spese sostenute per i mangimi, per il trasporto e per l’energia elettrica».
Trasformazione Le imprese che si dedicano alla lavorazione della trota in Fvg si contano come detto su una mano, «anche se – precisa Salvador – la gran parte del pesce ormai subisce almeno la filettatura e quindi un’operazione che si può considerare una trasformazione primaria». Procedere sulla strada della lavorazione avrebbe una serie di vantaggi in prima battuta certamente di ordine economico, ma anche di riconoscibilità del prodotto sul mercato perché se è vero che il 40% della trota italiana è prodotta in Friuli Venezia Giulia solo una piccola parte è etichettata e dunque riconoscibile. «Il settore dell’affumicatura rappresenta a oggi una nicchia di mercato – puntualizza Salvador –, che certo può crescere, ma ancor prima guarderei a un fronte che ci può dare un ritorno più immediato».
Il catering “sociale” Pangasio, pesce persico, platessa. Ecco quali prodotti ittici finiscono in genere nei piatti delle mense pubbliche, a partire da quelle scolastiche. «Possibile – si chiede il rappresentante dell’Api regionale – che dovendo scegliere cosa far mangiare ai nostri bambini la scelta ricada su un prodotto importato quando da noi ne produciamo uno, la trota, che vanta standard qualitativi e di sicurezza altissimi? Abbiamo una miniera in casa e non sappiamo utilizzarla». Salvador guarda alla Regione auspicando un intervento legislativo che istituzionalizzi l’uso dei prodotti a km 0 come la trota nelle mense di scuole, asili e ospedali. Prodotti sani (buoni) e controllatissimi grazie «agli alti parametri di sicurezza imposti dall’Italia, ancor più restrittivi di quelli europei. Basti pensare – concludono dall’Api – che il rapporto di veterinari presenti nei nostri laboratori e in quelli tedeschi è di uno ogni dieci».
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