La toga che “visse” due volte

Capita che a volte la vita ti conceda una seconda chance. Capita che, se hai seminato bene, tu possa raccogliere qualcosa di buono. La storia che raccontiamo è quella di un uomo che, pur essendo “caduto”, ha saputo rialzarsi senza perdere la propria dignità, nonostante momenti bui, davvero bui, di sconforto. A quest’uomo è capitato che si siano avvicinati quelli che si definiscono “veri amici” e che gli abbiano rifatto vedere la luce. Aprendogli la strada della seconda vita. La seconda chance.
Lui è Mauro Drassich, ex magistrato, oggi avvocato. Dopo tanti anni di silenzio ha accettato di raccontare la sua esperienza, affinché chiunque, specie in un momento di difficoltà, ne possa trarre anche un minimo beneficio. La vita, se vuoi, ti dà sempre la seconda opportunità. Anche se ti capitasse di sbagliare.
Studente Le doppie strade si presentarono già al giovane Mauro Drassich. Dopo le scuole dell’obbligo e terminato il liceo scientifico a Trieste – anni durante i quali aveva avuto l’opportunità di esercitarsi in scherma («il prof di educazione fisica lo insegnava, pertanto chi voleva ne poteva approfittare»), karate, atletica, corsa veloce e lancio del peso – la scelta dell’Università. Giurisprudenza o storia? «Mi sono sempre piaciuti gli studi classici. Alla matura portai latino.
Azzardai: allo scientifico nessuno l’avrebbe fatto. Amavo molto gli studi filosofici e la letteratura. Per converso, non mi piacevano le lingue straniere. Scartai corsi troppo lunghi, come medicina, sei anni. Scartai anche alcune proposte lavorative: dopo il diploma arrivavano, allora, le proposte di aziende e banche, altro che adesso. Ero già fidanzato e avevo progetti matrimoniali (che poi ho realizzato) e non volevo perdere tempo».
Avrebbe voluto iscriversi a storia, ma ci fu il veto del padre Stanislao, autotrasportatore nato nella Istria italiana: «Ti facciamo fare l’università e per questo ci rendi felici e orgogliosi, ma scegliti una cosa che abbia un senso anche in futuro».
Le giornate triestine passavano tra lo studio («frequentare l’Università da casa è una grande fortuna»), le escursioni nell’altopiano carsico, le serate con la chitarra («la suono molto male, naturalmente, ma mi ha fatto molta compagnia anche nei periodi difficili»), il mare e le gite, con i compagni prima di classe poi di università: «Era vita spensierata, quella». Sino all’arrivo della “cartolina”, che ti porta nel mondo dei grandi davvero. Era l’ora del servizio militare obbligatorio.
Destinato alla Marina, fu dirottato all’Esercito per sovrannumero: «Avrei dovuto farlo quando terminava l’esenzione per i giovani del Friuli post terremoto. Quell’anno, però, si aggiunse il secondo sovrannumero che dall’Esercito mi portò direttamente all’esenzione».
Magistratura e avvocatura «Non pensavo di fare il magistrato. Frequentai assiduamente e con profitto l’università, vincendo anche delle borse di studio. Grazie a queste sollevavo mamma Maria Grazia, casalinga, venuta a mancare nel 2003, e papà da ulteriori spese».
Inoltre, ancora per non pesare eccessivamente in famiglia, si cimentò in alcuni lavoretti: «Ebbi un incarico al telefono di Stato, in quella che sarebbe diventata la Sip. Sarebbe inconcepibile, oggi: dotato di cuffie, ricevevo le richieste di coloro che dovevano effettuare telefonate interurbane o a carico del destinatario o su appuntamento e creavo il collegamento».
Oggi si direbbe operatore telefonico, all’epoca, come nei film, inseriva e toglieva spinotti. Sei ore al giorno, per tre mesi, rinnovati. «Ero appassionato di diritto e, dopo la laurea, affrontai due esami: quello per avvocato, che all’epoca si chiamava procuratore legale, e il concorso per entrare in magistratura».
Le procedure, tra scritti e orali, duravano molto tempo. «Nel frattempo avevo vinto un concorso in consiglio regionale, come segretario di commissione, ruolo che ricoprii per due anni». Durante i quali arrivarono i responsi: Mauro Drassich aveva vinto il concorso in magistratura e passato l’esame di avvocato. Seconda volta, che davanti a lui si aprivano due strade:
«Che faccio – mi chiesi –. Se avessi intrapreso la strada dell’avvocatura avrei dovuto cimentarmi in una sorta di praticantato, un periodo di affermazione professionale che poteva durare anche molti anni. Scegliendo la strada della magistratura avrei avuto certezze lavorative immediate e, vogliamo dirlo, un posto garantito da dipendente pubblico con uno stipendio buono.
Al ragionamento si aggiunse il desiderio del matrimonio a stretto giro». Quando si trattava di prendere decisioni importanti, procedeva quasi con un rito: «Andavo sulle terrazza di casa, mi prendevo un momento che era davvero tutto mio. Accadde anche quando mi arrivavano i telegrammi con gli esiti di scritti e orali. Emozioni indimenticabili, quelle che costituiscono un momento di svolta nella vita». Un lunedì di giugno 1985 Mauro Drassich prese servizio al tribunale di Trieste, il sabato successivo il matrimonio. Sorride, ricordando l’antefatto: «La prima frase che pronunciai dopo l’insediamento? Non posso dimenticarla: dov’è il modulo per il congedo matrimoniale?».
La magistratura Dopo un anno e mezzo di tirocinio al tribunale di Trieste, la prima assegnazione: Oristano, Sardegna. «Era la prima volta che, vacanze a parte, mi spostavo così a lungo da casa. «Ci andai in macchina e in traghetto. Ricordo che in auto misi tutto quello che potevo, era stipata all’inverosimile, persino di carabattole. Furono due anni molto belli: facevo un po’ di tutto, dal momento che il tribunale era piccolo. Cercai di rientrare il prima possibile in Friuli Venezia Giulia, per avvicinarmi a mia moglie, che studiava medicina.
L’unico posto libero in quel momento era il tribunale di Pordenone: non l’avevo preferita ad altre città, era semplicemente la più vicina a quella di origine». Febbraio 1989, il giudice Mauro Drassich mette piede per la prima volta nel capoluogo del Friuli occidentale: «Non avevo nemmeno avuto occasione di passarci, prima di allora».
Se l’entusiasmo di arrivare vicino a casa era tanto, non altrettanto fu, ma solo inizialmente, il “clima sociale” che trovò nella Destra Tagliamento: «Mi era sembrato un ambiente più freddo rispetto a Oristano. In realtà, poco dopo dovetti ricredermi. Mi trovai benissimo». Assegnato alla sezione civile, fu il primo giudice delegato unico ai fallimenti, una materia, diritto fallimentare, che non era ambita tra le toghe.
Cinque anni. «Siccome mia moglie si era spostata in Toscana per motivi professionali, passati i quattro di ferma chiesi di avvicinarmi». Ottenne, quindi, il trasferimento a Firenze.
Una svolta inattesa La tappa fiorentina sarebbe durata otto mesi. «Appena arrivato mi successero due cose. La prima: il matrimonio andò in crisi. La seconda: per una coincidenza casuale, arrivò la disavventura giudiziaria relativa al mio periodo pordenonese».
Cominciava, nella sostanza, un procedimento penale che sarebbe proseguito per dieci anni. «Venni sollevato dal servizio», una sorta di sospensione cautelare durante la quale, chi fa parte della Magistratura, riceve una sorta di “assegno alimentare” «col quale mi sono mantenuto per dieci anni. Non appartengo, infatti, a una famiglia benestante».
Divieto assoluto di lavorare: «Allora diedi priorità allo studio. Ero rimasto in buoni rapporti con alcuni docenti dell’Università di Trieste, in particolare con i titolari delle cattedre di diritto civile e fallimentare. Scrissi articoli per riviste specializzate, collaborai a libri, anche per tenermi aggiornato. Tempo libero ne avevo molto», abissi tra un’onda e l’altra delle udienze.
La magistratura permetteva di svolgere solo attività culturali o para-culturali. «Lavorai addirittura come comparsa cinematografica per la tv tedesca, per le avventure del commissario Laurenti, ambientate a Trieste, di Veit Heinichen». I ruoli? Dal poliziotto al portabara a un funerale. Ancora, per la Rai, nella fiction sulla vita di Einstein, «impersonavo un professore contrario alle teorie dello scienziato».
In “Amore, bugie e calcetto”, con Claudio Bisio, il giudice sospeso finì nelle scene tagliate, che però, nella versione per dvd, rimasero. «Fu un’esperienza divertente, che riusciva a donarmi momenti di spensieratezza».
L’epilogo della (prima) vita Sentenza sfavorevole in tutti e tre i gradi di giudizio. Il procedimento pareva dovesse concludersi, alla peggio, con un pronunciamento di prescrizione. Invece, la Corte di Cassazione, a sorpresa, riqualificò l’ipotesi d’accusa: «In pratica, fui processato per un reato e condannato per un altro». Pronunciamento definitivo, Mauro Drassich venne sollevato dal servizio in magistratura. Mentre ripercorre quei momenti, e quelli successivi, si commuove. Racconta e fa una pausa, racconta e fa una pausa. Durante quelle pause si susseguono flash retrodatati.
Lunghi giorni tra Trieste e Torino. Dal 2006, però, l’ormai ex magistrato è un uomo libero, che può ricominciare. Con una marcia in più: «La Corte di giustizia europea ha accolto il mio ricorso e ha stabilito che la mia condanna era stata contraria alla convenzione europea dei diritto dell’uomo. La stessa Corte ha condannato lo Stato italiano per avermi condannato. Intanto, però, ho già scontato, tutto era ormai successo».
Un pronunciamento del genere, però, non può passare in cavalleria. L’ex giudice deposita un altro ricorso a Strasburgo, laddove ancora è pendente da sette anni: «Devo capire – e vorrei che me lo dicessero – che cosa me ne faccio di questa sentenza, quale efficacia ha in Italia? E quali conseguenze?»
Il buio dello sconforto Furono anni terribili, parevano interminabili, un tunnel privo di luce in fondo. Sino al 2006. «Lasciati alle spalle quei momenti, volli raccogliere le idee: staccai la spina. Trascorsi un periodo a Paularo: ero sconfortato e fu una scelta casuale e in realtà priva di senso.
Se uno oggi mi chiedesse perché, non saprei rispondere. Con i soldi dell’affitto della mia casa di Trieste “sopravvivevo” isolato, tra le montagne, solo, per scelta». Un giorno, però, lassù ci andò un amico di lunga data: «Senti, mi fai troppa pena. Ti cerco io un posto dove stare, dove ricominciare». Mauro Drassich segue l’amico, a fatica. «E sono arrivato di nuovo qui, nel Pordenonese».
La rinascita «Proprio qui ebbi costanti manifestazioni di solidarietà e di affetto, anche da parte di persone che mi avevano conosciuto appena. Ricordo persone che mi presero le mani, me le strinsero e dissero: “dotor, dotor, coraggio”. Non ho dimenticato. Come non ho dimenticato che la prima volta che arrivai a Pordenone avevo pensato, erroneamente, a una comunità “chiusa”. Come ho già avuto modo di dire, mi ricredetti subito e questa, tanti anni dopo, fu una conferma di quell’errore di valutazione. Tanto che ho sempre riconosciuto a Pordenone la dote della grande facilità di instaurare rapporti interpersonali».
Il problema, trovata la casa, era il reiserimento lavorativo. Le porte della magistratura erano definitivamente chiuse, ma Mauro Drassich è, sin da giovane, anche avvocato e non ha mai interrotto il suo legame col diritto. Ricordate che vinse entrambi i concorsi contemporaneamente? «Diversi avvocati mi dicevano: vieni qui, a Pordenone.
Ecco, ho fatto dunque richiesta di iscrivermi all’albo e, dal 2011, lo sono». Rientrare, a palazzo di giustizia, è stato come rinascere. «Emozionante. Per me si trattava dello stesso medesimo posto fisico. Trovarmi fisicamente negli stessi ambienti, con persone parzialmente diverse e parzialmente no, è stata una emozione molto forte, molto forte. Te la fa stemperare la funzione da svolgere, pensi al motivo per cui sei lì. Ma giurare nelle mani di uno che era stato mio collega... beh, è stata una cosa molto particolare, mi ha fatto una certa impressione». Ora sono passati cinque anni e l’avvocato Mauro Drassich, sfumata – anche se non del tutto – quell’emozione, ripercorre la sua carriera, la sua vita.
«Ho sempre a che fare col diritto e mi muovo utilizzando gli stessi strumenti. Faccio tesoro di quella che è stata la mia esperienza come magistrato: la formazione fu potente». Ha scelto di curare il civile, perché comunque qualche ferita è rimasta aperta, appena appena, e non intende far sì che torni a bruciare: «Non ho più voluto occuparmi di penale. Stare dall’altra parte, in aula, mi ha comunque fatto capire quale sia la posizione di chi giudica e di chi chiede giustizia.
Nella prima decidi su una visione di “secondo grado” che ti viene fornita; nella seconda, hai un dato reale, un’esperienza diretta che devi trasformare in una formulazione giuridica. Inoltre, oggi l’avvocatura svolge alcune funzioni che erano tipiche del giudice».
Ora che il nostro professionista si trova al di fuori del mondo magistratura, dopo averne fatto parte e avere subito l’esercizio della legge, si concede una considerazione, per nulla astiosa: «Lei mi chiede se il sistema è da riformare. Io credo che la giustizia non sia avulsa dalla società. In un momento di crisi generale, come è questo, non può essere una campana di vetro che funziona quando tutto intorno non funziona.
Di sicuro, i tempi della giustizia sono inaccettabili. Ho subìto un procedimento durato dieci anni e ciò che mi addolorava era che non potevo nemmeno influire nei tempi. Ora, da anni aspetto che Strasburgo dica come va applicata la sentenza che ha stabilito che l’Italia ha sbagliato a condannarmi. C’è un cortocircuito cui va posto rimedio».
Oggi e domani Oggi Mauro Drassich ha 58 anni, è fidanzatissimo con Rossana e sta vivendo la seconda chance di vita. Non coltiva grandi sogni, se non la serenità interiore. «Sin da giovane studente amavo stare seduto sulla panchina a leggere qualche libro. Con calma. Tanto che un amico mi derideva: te son come un pensionato. Ecco, sì, vorrei essere senza pensieri, con la mente sgombera da qualsiasi preoccupazione. E domani partire in solitaria, fare una traversata in barca, tornare al “mio” mare, tipo Ambrogio Fogar». Guardando avanti, come oggi, a testa alta.
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