La svolta della gastroenterologia

Il primario Brosolo: «Ottimi professionisti, tecnologie obsolete. Ma sta arrivando la sanità del futuro»
Di Donatella Schettini

«Se realizzassimo il progetto di avere posti letto ed essere punto di riferimento per alcuni trattamenti, come quello precoce delle neoplasie, potremo considerarci abbastanza soddisfatti».

Parole del primario Piero Brosolo, a quasi un anno dalla presa in servizio al reparto di gastroenterologia e endoscopia digestiva dell’ospedale di Pordenone.

Che reparto ha trovato al suo arrivo?

«Una realtà di ottimi professionisti, inseriti in un ospedale che ha un grande bacino di utenza. Di meno buono ho trovato che la strumentazione endoscopica era vetusta e sicuramente ci ha messo in ginocchio il furto di attrezzature subito questa estate».

Qual è la vostra offerta?

«Il nostro centro ci configura come centro di secondo livello, in grado di fornire le prestazioni che gli ospedali più piccoli non danno. Per certi aspetti forniamo anche aspetti di terzo livello. Proponiamo prestazione di livello avanzato come la dissezione sottomucosa per via endoscopica delle lesioni neoplastiche iniziali del tratto digestivo, o l’ecoendoscopia operativa o il trattamento endoscipico del diverticolo di Zenker, e altri tipi di prestazioni. Non siamo un centro che deve sperimentare nuove metodiche, ma che utilizza con raziocinio quelle considerate validate. E’ una offerta a 360 gradi che spazia dalla endoscopia digestiva diagnostica e operativa alla fisiopatologia digestiva, all’utilizzo della videocapsula, alla risposta all’emergenza gastroenterologica, all’attività ambulatoriale di day hospital finalizzata anche alla diagnosi e cura di patologie croniche. Il nostro centro segue, per esempio, 500 pazienti con malattie infiammatorie croniche all’intestino, curati da un team multidisciplinare dedicato. A livello regionale è la realtà più importante per numeri e tipo di attività».

E le criticità?

«Soffriamo come altri la mancanza di risorse: anche se l’amministrazione dell’ospedale cerca di venirci incontro, il problema c’è, pur comune ad altri ambiti. Poi il nodo tecnologie, di necessità ce ne sarebbero... Penso alla fisiopatologia digestiva, che usa apparecchiature ancora ben funzionanti, ma obsolete».

Su quali progetti intendete lavorare in futuro?

«Vorremmo completare la nostra offerta, gestendo in prima persona i pazienti ricoverati per le patologie di nostra competenza. E’ ormai ben dimostrato che la presa in carico diretta di questi pazienti determina risultati migliori e costi inferiori. Ora sono appoggiati ad altri reparti, con tutti i problemi che ne derivano. Sulla carta la Regione ha già previsto il cambiamento, ma ci devono essere le autorizzazioni. Ci piacerebbe poi che la qualità della attività venisse misurata non solo sui volumi, pur importanti, ma anche sulla base dei risultati, il dato più difficile da rilevare, ma che esprime la qualità e l’efficienza del nostro lavoro. In quest’ottica ci piacerebbe rendere partecipi gli altri colleghi delle nostre esperienze, far fare il salto di qualità ai nostri successori per trasmettere conoscenze, lasciare un’eredità e, nel lavoro quotidiano, guadagnare tempo e ottenere risultati più velocemente».

Cosa pensa del nuovo ospedale?

«Siamo stati coinvolti con la richiesta di fornire la nostra opinione su qualche soluzione e con piacere abbiamo visto che i suggerimenti sono stati presi in considerazione. L’opinione degli specialisti che entrano nei dettagli in una materia che cambia così rapidamente come la medicina è importante».

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