La storia di Renato, da collezionista di francobolli a custode delle bici che quasi “parlano”

Il museo di Bulfon emblema dell’amore per le due ruote. A Mortegliano spunta un pezzo di storia anche friulana

MORTEGLIANO. Ti fermeresti per ore a guardare quella splendida Bianchi. Sì, la Bianchi, quella con il colore celeste del telaio che ha fatto la storia del ciclismo per le imprese di Fausto Coppi. Solo che quella Bianchi è del 1934, quando l’Airone non aveva ancora aperto le ali e semmai in rampa di lancio c’era un toscanaccio che già faceva parlare di sé come Gino Bartali che cavalcava la Legnano. «Guarda lì il cambio, si chiama Vittoria Regina Margherita è un prodigio della tecnica». Renato Bulfon si commuove nel raccontare i segreti di quella bici. Si commuove ancora nonostante con le bici, la sua collezione, il suo museo ne conta decine, conviva da almeno quarant’anni.

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Udine 27 luglio PISTA CICLABILE Agenzia Petrussi foto Turco Massimo


Il problema semmai è della moglie Manuela che lo sopporta «da quando – dice divertita – in viaggio di nozze mi portò a Roma a vedere una mostra filatelica». Ha 67 anni Bulfon, è un’istituzione per gli amanti della bici perché con fatica e passione in questi decenni ha raccolto la storia delle due ruote in Friuli e non. Il suo negozio in via Cavour a Mortegliano, la terra di Virginio Pizzali, la medaglia d’oro mancata (e dimenticata) per una caduta a Melbourne 1956, è un punto di riferimento obbligato se si vuol parlare di bici.

La descrizione di quel cambio vale, come si suol dire, il prezzo del biglietto. Renato muove la leva che il corridore azionava sopra la corona grande e come d’incanto i tre rapporti posteriori si muovono. Tre rapporti, tre. Su salite e strade bianche soprattutto. Bulfon lascia quel prodigio di tecnica ed entra nel mondo di Coppi. Non serve chiedere, lui era un Coppiano. Ci sono bici Bianchi ovunque, maglie di quell’epoca d’oro delle due ruote. Sì, le maglie sono un’altra perla della collezione. C’è la bici celebrativa della Bianchi Tour 1952 vinto da Coppi, manca una bici realmente usata dal campionissimo, Bulfon prima o poi la troverà.

Dove? «Ai mercatini appositi o su e-bay, ma costa oltre 100 mila euro... chissà», spiega. Lui monitora, fa trattative. Spende. «Anche duemila euro per una bici – ma è più forte di me. Mio padre Guglielmo aprì il negozio nel 1954: gommista e meccanico di bici. Io presi le redini. Iniziai con la filatelia, mi specializzai nei francobolli legati al ciclismo». Poi il salto di qualità, si fa per dire. Le biciclette. Le maglie. Ovvio che di Virginio Pizzali ci sia una sezione a parte. Una memorabile sezione a parte aggiungiamo. Le maglie sono posizionate sui manichini. «Ecco – si infervora – questa è la maglia azzurra con cui Virginio corse le Olimpiadi. Guarda qui c’è ancora il buco nella parte posteriore della maglia. Ecco il segno della caduta». Pizzali ha dato a Bulfon tutti i suoi gioielli. Maglie, cimeli, c’è pure la giacca con lo scudetto dell’Italia con cui il pistard sfilò a Melbourne. «Un giorno venne in negozio con due valigie di foto – spiega il collezionista – mi disse: prendi qui tu conserverai tutto alla perfezione». Album a raffica.

Bulfon illustra. C’è la sezione dei fanali di bicicletta, c’è quella degli stemmi delle bici in metallo (sotto il bancone del negozio), c’è quella della tassa sul velocipede che negli anni Trenta si pagava e si doveva dimostrare di aver pagato applicando sul mezzo una targa.

«E il Friuli era anche una grande terra di costruttori di bici e pure di tubolari di bici», spiega. E spunta l’immancabile pezzo unico. Una bici col freno a tamburo, i cavi a scomparsa e i fili in legno prodotta dalla Vidussi negli anni 30.

«Lo stabilimento era in viale Palmanova a Udine, poi l’hanno bombardato durante la guerra e non ha più riaperto. Poi c’era il marchio Diana e altre sei-sette fabbriche di bici». Non finirebbe più di raccontare. La signora Manuela, quella della mostra filatelica in viaggio di nozze, lo guarda. Sorride. 

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