La ricomposizione del duomo di Venzone punto di riferimento per l’Italia centrale

Il soprintendente delle Marche prende a esempio la movimentazione popolare guidata da Guido Clonfero e Remo Cacitti

VENZONE

La ricomposizione del duomo di Venzone costituisce un riferimento per la ricostruzione dei monumenti crollati a seguito di eventi catastrofici. Lo scrive l’Icomos, il braccio destro dell’Unesco, lo auspica il soprintendente delle Marche, Carlo Birrozzi, alle prese con una nuova emergenza che dopo il crollo delle case registra lo sfaldamento delle comunità. A due anni dal sisma, la gente lascia i monti Sibillini: «Siamo nella fase del tutto e subito, c’è bisogno di capire che la strada percorsa a Venzone è quella che nel lungo periodo paga», ha ammesso il soprintendente che accoglierebbe con favore la movimentazione popolare a difesa dei luoghi. A oltre 40 anni di distanza dal terremoto che nel 1976 distrusse il Friuli, la ricomposizione del duomo di Venzone diventa un punto riferimento come furono gli uomini che resero possibile quell’impresa: i professori Guido Clonfero, Remo Cacitti e Maria Pia Rossignani, monsignor Giovanni Battista Della Bianca e l’arcivescovo Alfredo Battisti. L’architetto Francesco Doglioni, il direttore dei lavori che ha garantito «continuità alla storia antica», l’altro giorno, li ha ricordati tutti assieme a molti altri.

A Venzone sulle macerie del terremoto si creò «una movimentazione popolare che seppe resistere a tutte quelle ovvietà e a tutti quegli schematismi politici, culturali e amministrativi che volevano il duomo lasciato in rovina a tragica testimonianza della catastrofe in una Venzone riedificata su moduli prefabbricati lungo la Pontebbana». A prendere in prestito la frase estrapolata dalla lettera che ha ricevuto da Cacitti, è stata la soprintendente alle Belle arti del Friuli Venezia Giulia, Simonetta Bonomi, prima di ricordare che «nella coscienza collettiva, l’impresa del duomo di Venzone è un’impresa straordinaria». Quell’impresa straordinaria è stata al centro del convegno “Un volto ricomposto” organizzato dalla Pieve di Sant’Andrea per celebrare la conclusione del cantiere avvenuta con il restauro delle statue di coronamento del duomo, diventato un esempio internazionale della ricostruzione del Friuli. L’evento dedicato, a 10 anni dalla morte, a Guido Clonfero, l’uomo della concretezza come l’ha definito la presidente dell’associazione Amici di Venzone, Paola Fontanini, segna un punto di partenza e di arrivo nel momento in cui si ragiona sulla ricostruzione dei monumenti distrutti dal terremoto. A iniziare da Norcia dove un Comitato di cittadini si batte per ricostruire la basilica di San Benedetto dov’era e com’era. Doglioni con le colleghe Alessandra Quendolo e Alba Bellina che lavorarono in gruppo, hanno ripercorso i passaggi salienti della ricomposizione del monumento. A iniziare dal riconoscimento delle nove mila pietre seguendo le tracce lasciate dagli scalpellini medievali. «Le pietre sono tornate a essere in continuità con la storia antica» così come voleva Clonfero che sosteneva «tutto è storia. Ricordando Clonfero, Doglioni ha chiarito il significato di quell’impresa straordinaria: «Il com’era e dov’era possiamo accettarlo ma non ci rappresenta». L’eco di questa esperienza arriva nelle Marche, dove il soprintendente cerca di ricostruire le comunità prima delle case. Lo fa perché, in molti casi, le ruspe hanno già rimosso i segni della storia e la gente preferisce non tornare. «Mi è capitato di rileggere “Le pietre dello scandalo” (il libro pubblicato da Einaudi nel 1980 ndr) e mi sembra di rivedere cosa sta succedendo oggi. Mi meraviglio – ha chiosato Birrozzi – di come la storia non insegna».

Unica nota stonata l’assenza dell’assessore regionale alla Cultura, Tiziana Gibelli. L’assenza ha rammaricato don Roberto Bertossi, secondo il quale Gibelli ha perso un’occasione per rendersi conto cosa significa Venzone. Il delegato episcopale per i beni culturali, Sandro Piussi, invece, la storia di Venzone la conosce, anche lui al fianco del professor Mario Mirabelli Roberti, seguì le fasi del restauro. —



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