La Ravanelli lascia Tobruk disoccupato anche l’ex ostaggio

La Enrico Ravanelli di Venzone ha inviato lettere di licenziamento ai 15 dipendenti del cantiere libico di Tobruk Nadora Camp, Derna Road, dove aveva in corso una commessa di 130 milioni di euro

VENZONE. La Enrico Ravanelli di Venzone ha inviato ai 15 dipendenti del cantiere libico di Tobruk Nadora Camp, Derna Road, dove aveva in corso una commessa di 130 milioni di euro per la costruzione di impianti idrici e fognari, le lettere di licenziamento. Un evento anticipato nei mesi scorsi, per l’acuirsi della crisi che vede il paese sconvolto dalla guerra, che è stato portato dapprima all’attenzione dei sindacati che a metà settimana hanno avuto notizia dal titolare dell'azienda Sergio Madotto che le lettere sarebbero state spedite il giorno stesso alle maestranze. Così, con effetto a partire dal ricevimento della missiva, i 15 dipendenti (la maggior parte dei quali friulani e veneti) si sono trovati licenziati.

Un provvedimento che non è condiviso dai sindacati, in quanto con il licenziamento termina la cassa integrazione speciale della quale usufruiscono dal loro rientro in patria dalla Libia. «Non tutti i dipendenti – assicura Francesco Gerin della Fillea Cgil – hanno maturato i requisiti per ottenere la cassa integrazione, dal momento che per la riforma Fornero, non hanno operato con l’azienda per un tempo sufficiente per ottenerla, e probabilmente saranno costretti ad avere un trattamento economico ridotto». L’azienda sarebbe ben intenzionata a riaprire il cantiere qualora le condizioni politiche e di guerra lo permettessero.

Come racconta Gianluca Salviato, il tecnico veneto rapito dai terroristi nel marzo 2014 e liberato a novembre, l’azienda aveva anticipato l’intenzione di non voler dismettere la mano d’opera: «Nella lettera di licenziamento ci hanno comunicato la chiusura del cantiere, che però rimane ancora aperto in quanto in Libia si trova ancora il capocommessa». Da quanto si è potuto apprendere il capocantiere rimasto in Libia non è friulano. Il suo compito sarebbe quello di chiudere definitivamente il cantiere e trarre il bilancio economico e finanziario di questa esperienza. «Nella riunione del 5 febbraio ci avevano rassicurato dichiarando di non prevedere esuberi di personale ed eventualmente di ricollocarci in altri cantieri, ma così non è stato» ha affermato Salviato, disposto a «tirarsi su le maniche e a non disperarsi, un altro lavoro lo troverò».

Dopo le cure per ristabilirsi dalle torture ricevute durante il rapimento «ho saputo che l’azienda voleva pormi in cassa integrazione durante il periodo di prigionia, ma i sindacati non lo hanno permesso. Abbiamo ricevuto la lettera

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