La protesta dei bar di Pordenone: «Riapertura così? Macché, rischiamo di fallire tutti»

C’è chi promuove una serrata e chi chiede regole e date «Tante commissioni, grande caos, nessuna certezza»
ANTEPRIMA Udine 02-06-2010 gente in città
ANTEPRIMA Udine 02-06-2010 gente in città

PORDENONE. Alcuni sono pronti alla serrata volontaria dopo quella forzata. Altri ritengono che per l’improvvisazione non ci sarà più spazio. Il barometro degli esercenti punta sul variabile, tra chi crede che il Governo non potrà restare sordo alle richieste di una categoria ora in ginocchio e a rischio crac e chi ritiene che se un’impresa va in crisi dopo un mese e mezzo, qualche problema forse ce l’aveva da prima. Ma non è questo il punto.

Il problema, e sono tutti d’accordo, è la ripresa a scartamento ridotto. Baristi sceriffi all’ingresso dei locali? Personale dirottato a dirigere il traffico? Clienti separati da una barriera, con guanti e mascherine? La pausa caffè, pausa piacere, trasformata in una procedura da ingresso in aeroporto? E poi: posti a sedere più che dimezzati, quelli in piedi azzerati, deserto davanti al bancone. Sarà questo il futuro? «Dateci certezze, poi saremo noi a decidere cosa fare», dicono. Al momento c’è una e ci sono tante date di ripartenza, una e tante ipotesi sul come. E conti e nervi sono sempre più tesi.

A dar voce alla protesta è Andrea Esposito, titolare del Portorico che, a ieri sera, con un video su il13 aveva collezionato oltre 100 mila visualizzazioni. «Stiamo aspettando direttive da chi non ha mai lavorato nel nostro settore – dice –. Ci faranno fallire tutti. Vogliono che garantiamo personale e sistemi di sicurezza in locali che se prima accoglievano 30 persone ora ne potranno accogliere 3».

Due metri di distanza tra addetti ai lavori, un operatore che sanifica alla porta: «Allucinante, non possiamo riaprire così. Dovete mantenerci fino a quando potremo riaprire in sicurezza». L’annuncio della protesta: «Alla riapertura blocchiamo tutto». L’appello al sindaco Alessandro Ciriani e al presidente della Regione Massimiliano Fedriga è di prendere in mano la situazione.

Sulla stessa linea è Nicola Zaramella, dell’Osteria Colonna. «Siamo il settore più penalizzato, se si andrà nella direzione prospettata ce lo confermino: almeno sapremo che il fallimento è certo e i costi se li accollerà lo Stato». Risollevarsi, per i piccoli locali, «sarà dura. So già che mi scorderò le 150 persone della serata. Mi “salvavano” i pasti, ma col contingentamento non resteranno nemmeno quelli. Ci sarà una grande protesta? Bene, mi metto in prima fila».

Innegabile, dice il referente Fipe Fabio Cadamuro, titolare dello 0434, «che si stia facendo molta confusione senza sapere che cosa accadrà domani. C’è chi ha acquistato i plexiglass anche se non si sa se serviranno. E tutte queste commissioni: quasi a volere giocare alla scaricabarile, a non individuare un responsabile». Manca «una pianificazione della fase 2. Ci sono persone che non hanno ancora ricevuto i 600 euro». E intanto monta il «panico da indecisione».

Da dodici anni gestisce il bar Cristallo, Matteo Cesaratto, chioschi delle piscine nonché il Palaverde di Treviso. «Se dovessimo riaprire alle condizioni che ci prospettano, meglio restare chiusi. Andare al bar deve essere un piacere, non un supplizio. Ma se non riapriremo entro metà maggio, non so quanti resisteranno: di sicuro spariranno gli improvvisati». Già prima della serrata «il mercato era imprevedibile, con le condizioni che si prospettano lo sarà ancora di più». La proposta: «Non me la prendo con lo Stato, a me ha dato e io ho restituito. Però il Governo risolva i problemi, non li crei». Per esempio: «Obblighi le società che gestiscono buoni pasto a pagare subito le fatture già emesse ad oggi ai ristoratori. Sono soldi nostri che potrebbero servire».

Già permettendo il take away sarebbe bene, dice Luca Diana, titolare della Pasticceria di corso Garibaldi. «Ora facciamo le consegne a domicilio perché c’è l’emergenza, ma non si potrà reggere solo così». Il suo locale dovrà “sfoltire” posti dentro e fuori: «Riusciremo a sostenere i costi con la sicura minore clientela? Proveremo con orari ridotti e turnazioni, ma servono anche ammortizzatori sociali a lungo termine. Almeno per dare un segnale psicologico di ripartenza: i nuovi poveri sono già qui».

Riaprirà a breve il reparto bomboniere Giuseppe Faggiotto, titolare, tra gli altri, di Peratoner a Pordenone e del prestigioso Caffè degli specchi di Trieste, una “fabbrica” con 70 dipendenti, quasi tutti in cassa integrazione. «Purtroppo non si vedono prospettive. Mio nonno e mio padre vissero la guerra: ora non ci sono macerie, c’è l’anima del Paese da ricostruire». A Trieste entravano migliaia di persone al giorno, «e nessun contagiato tra i dipendenti. Al banco c’erano file da cinque per il caffè. E adesso? Dove metto i clienti?». Grazie ai social parla con i dipendenti tutti i giorni: «Per 2-3 settimane ce la facciamo, poi sarà davvero dura. Qui di certo ci sono i costi, le entrate no. E dopo sarà tutto nuovo: io mi sono preparato. Ma sarà davvero una grande incognita».


 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto