«La Prefettura di Pordenone va chiusa»

Decreto di maggio immutato: entro il 31 dicembre 2016 andrà accorpata a Udine. Bolzonello: è l’ora di mettersi al lavoro
Di Martina Milia

La bozza presentata lo scorso maggio non è cambiata. Nonostante Sos e mobilitazioni del territorio, il governo non sembra intenzionato ad arretrare sul taglio delle Prefetture. E così nello schema di Dpr (decreto del presidente della Repubblica) sulla nuova organizzazione del ministero dell’Interno, inviata alle organizzazioni sindacali, c’è anche Pordenone tra le 23 rappresentanze territoriali prossime alla decapitazione. Unica in regione, peraltro: Udine, Trieste e Gorizia, sono salve, grazie al fatto che confinano con Austria e Slovenia.

Pordenone è in compagnia di Teramo, Chieti, Vibo Valentia, Benevento, Piacenza, Rieti, Savona, Sondrio, Lecco, Cremona, Lodi, Fermo, Isernia, Verbano-Cusio-Ossola, Biella, Oristano, Enna, Massa-Carrara, Prato, Rovigo, Asti e Belluno. Il destino per questi enti – come sancito dall’attuale testo del decreto – è di cessare le funzioni dal 31 dicembre del prossimo anno, con conseguente declassamento dei presidi della sicurezza, per esempio. Unica possibilità offerta è la proroga di un anno, ma anche questa è discrezionale.

I sindacati della pubblica amministrazione hanno già annunciato mobilitazioni a livello nazionale mentre l’annuncio scuote la politica regionale e territoriale all’alba di una nuova stagione elettorale.

«La partita è ancora aperta» getta acqua sul fuoco il vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello, che però aggiunge: «Ora più che mai è il momento di stare uniti e lavorare nella stessa direzione per far capire definitivamente alle autorità centrali dello Stato che Pordenone e il suo territorio non devono essere sguarniti». Ma il centrodestra è già all’attacco: «Al Pd non è bastato spedire a casa un sindaco, ora rinuncia anche al prefetto» dice lapidario il capogruppo regionale di Forza Italia, Riccardo Riccardi, mentre la segretaria regionale degli azzurri e parlamentare, Sandra Savino, parla di scelta ingiustificata e profondamente sbagliata: «Il Ministro non ha evidentemente tenuto conto che Pordenone e la sua provincia non sono un sperduta landa di periferia, ma un’area altamente produttiva attraversata fra l’altro dalla problematica, più che mai attuale, legata alla presenza del numero di stranieri residenti, che arrivano al 13% - prosegue in una nota –. Una cifra che include una numerosa comunità islamica, la quale richiede un adeguato monitoraggio da parte delle forze di polizia. In tal senso, perdere un pezzo di Stato comporterebbe oggettivamente un abbassamento del livello di sicurezza e di intelligence. Per non parlare della già complicata organizzazione delle politiche di accoglienza richieste da Governo e Regione, che senza la regia in loco di una Prefettura sarebbero ancora di più difficile realizzazione».

E proprio questo aspetto è quello che preoccupa maggiormente il sindaco, nonché presidente della Provincia, Claudio Pedrotti: «Con la gestione dei profughi che abbiamo oggi e che è delegata ai territori – ha detto – perdere un attore come la Prefettura sarebbe disastroso. Io resto comunque ottimista perché ricordo che la bozza è ancora quella dello scorso maggio e che nel frattempo, grazie a una forte pressione popolare è stato nominato un nuovo prefetto. Credo che questo abbia un valore». Ma al di là della fiducia, anche il sindaco è convinto che «sia necessario rafforzare il messaggio già dato a Roma».

Non è una battaglia per salvare semplicemente un ente o una “bandiera”, ma il tema è più complesso. Pordenone è terra ad alta intensità di immigrazione, terra che ha subito una pesante industrializzazione e in cui ci sono delicate vertenze (basti pensare a Electrolux), terra in cui ha sede una delle più importanti basi militari d’Europa e in cui si concentra un tasso di immigrazione importante e per queste ragioni, che hanno valenza extraprovinciale, non può rinunciare alla Prefettura.

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