La pace secondo Grossman, tra dolore e speranza

PORDENONE. Ci giriamo attorno. Però, va detto, qui a Pordenone il tentativo di bucare la cortina d'indifferenza culturale, è palese. Basta notare l'attenzione della gente per gli scritti, gli scrittori e per quell'universo ricco che, in qualche modo, è sempre stato trainante e d'improvviso si è fermato. Il popolo è sovrano e, dunque, si faccia qualcosa in più. Il governatore Serracchiani, che ci si schieri col suo partito o lo si contesti, da quando ha impugnato la Regione, ha sempre racchiuso il sapere dentro una priorità.
"Il Paese ne ha bisogno - dice al ciak ufficiale del quindicesimo festival - almeno se l'intento è quello di una crescita civile. Vogliamo presentare il nostro futuro migliore? Vogliamo un'Italia più adulta? Per appartenere degnamente a un'Europa complessa dobbiamo fare la nostra parte, coniugando arte ed economia; si può fare, non è un'utopia riunire due sistemi all'apparenza distanti".
Eccoci qui nuovamente. Le cinque giornate di resistenza letteraria rimettono in ordine i pensieri di tutti i 363 autori, diventano in qualche modo più nostri perchè la festa è con loro. Incontriamo David Grossman. Villalta, Garlini e Gasparet, che fortunatamente non smettono mai di agevolare la lettura, hanno voluto lui per cominciare. E lui c'era.
Grossman vive un habitat complesso. La vita e la morte convivono in una alienante routine quotidiana. Ma lo scrittore israeliano non è soltanto un cronista della storia, le storie anche se le inventa, "è una questione di sopravvivenza" dice. "Quando mi siedo davanti al computer conquisto il mio posto privilegiato, lontano dal caos e dalla imprevedibilità degli eventi. Ora che sto invecchiando non credo sia necessario cercare nuova immaginazione, mi basta ricordare quella archiviata pazientemente nei decenni. Da bimbo sognavo tantissimo, almeno nove decimi di una giornata".
Soffoca dolore, rilascia speranza, Grossman. Dev'essere così, conoscendo la sua lunga visita all'inferno. L'amato figlio Uri fu uno dei tanti sconfitti dalla battaglia, in Libano. Eppure il padre conserva l'illusione di una pace, non c'è rancore nella struggente lettera che lui gli scrisse per l'abbraccio più tormentato, l'ultimo, come volesse ancora trattenerlo accanto a sè.
E tutto si consolida e si apre a nuove sensazioni nelle pagine di "Caduto fuori dal tempo", un passeggio dell'anima attorno all'esistenza per raggiungere il luogo "laggiù" dove i respiri incontrano i silenzi. "Quando una morte ti colpisce vorresti parlare, ma sei pietrificato dentro un dolore immenso. E devi trovare quel posto "laggiù" per ritrovare i battiti del tuo cuore".
Grossman osserva e appunta dalla sua postazione difficile, s'insinua nella polvere della lotta suggerendo indicazioni ad arabi ed ebrei su come accatastare i caricatori, farla finita, insomma, magari dialogando, che detto così pare la più ovvia delle soluzioni. Tanto, si legge in un passo di "La guerra che non si può vincere", nessuno mai riuscirà a uscirne da questa maledizione eterna. David è del 1954, è membro del club degli autori più letti al mondo, diciamo dal 1988, data simbolo di un'uscita letteraria che incise la storia, "Vedi alla voce: amore", è riservato, per nulla mondano, uno che alla famiglia è devoto. E continua a combattere e a incidere "per contrastare il rumore", dice, un rumore che da dieci anni sovrasta altri suoni, gli spari, le ambulanze e "gli squilli del telefono dopo ogni sciagura".
La firma del 1993 fra Rabin e Arafat alla Casa Bianca, conosciuto come il trattato di Oslo, che seguì negoziati segreti in Norvegia, avrebbe dovuto murare l'odio, ma l'evidenza odierna smentisce l'allora speranza. "Questi due simboli viventi, Rabin e Arafat, - scrisse Grossman - si sono stretti la mano e in quel momento sono diventati uomini". E ha aggiunto: "Finchè anche i palestinesi non avranno uno stato indipendente accanto al nostro, anche noi israeliani non avremo una vera casa. La creazione di uno stato palestinese è sì politica territoriale, ma soprattutto riuscire a vivere senza paura e poter immaginare un futuro per figli e nipoti e sentirsi accettati da tutto il mondo".
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