La morte di Cino Tortorella, il mago con il mantello azzurro che ha incantato i bimbi di un tempo

Anche se non si librava in volo, quel mago con il mantello azzurro e la calzamaglia celeste, era come se facesse decollare la fantasia di noi bambini di un tempo. Il Mago Zurlì se n’è andato ieri sulla soglia dei 90 anni: si chiamava Cino Tortorella, ma per tutti era, è stato ed è ancora il Mago Zurlì. E non era solo un personaggio che sembrava uscito da una fiaba con la bacchetta magica e i capelli luccicanti, era il simbolo di un’epoca della tv gentile, educativa, perbene, quella dello Zecchino d’oro, concorso canoro per bambini che recitavano da bambini e dopo tornavano a essere bambini.
Sono stati gli anni Sessanta, Settanta e la prima metà degli anni Ottanta, quelli del successo immenso. I più giovani stenteranno a capire cosa poteva essere quella specie di Sanremo in miniatura. Era molto più di una kermesse di parole e musica, era narrazione e fiaba, era una trasmissione uscita dalla tv dei ragazzi ma la guardavano anche fratelli maggiori, nonni e genitori. Piaceva al punto da dilagare oltre i confini nazionali fino all’attribuzione di un riconoscimento dell’Unesco come “patrimonio per una cultura di pace”. L’aveva inventata Umberto Eco, quello della geniale definizione degli “imbecilli dei social”, allora funzionario Rai, insieme con lo stesso Tortorella. Anzi, l’idea originale era proprio del Mago, che già esisteva come personaggio della tv in una trasmissione dal titolo “Zurlì, il mago del giovedì”.
Lo Zecchino d’oro non era solo il Mago Zurlì. C’era il Piccolo coro dell’Antoniano di Bologna della direttrice Mariele Ventre e quei bambini tutti in fila ordinata. Precisi, intonati e piacevoli da ascoltare. E c’era anche la fiaba sullo sfondo, con la sigla “Carissimo Pinocchio” cantata da un giovane Johnny Dorelli. Inoltre, molte delle canzoni regine delle edizioni più fortunate sono rimaste nell’immaginario di quei bambini una volta cresciuti e tramandate oltre: quella più famosa è senz’altro il “Valzer del moscerino” con la voce di una bambina con le canzoni per i piccoli nel destino, Cristina D’Avena, quella delle sigle dei principali cartoni animati. E poi, fra tante, “Il coccodrillo come fa”, “Quarantaquattro gatti”, “Il caffè della Peppina”, “Volevo un gatto nero”.
Era davvero familiare l’aria di quella trasmissione. Apparivano prima da lontano e poi a pieno schermo, quei piccoli un po’ sdentati nella fase del primo sviluppo, talvolta impauriti e così genuini da fare un’immensa tenerezza. Capitava che si impappinassero durante l’esecuzione, tutto si fermava e si ricominciava da capo: vien da tremare al pensiero di una formula come questa nella tv crudele di oggi.
Quella trasmissione c’è ancora, anche se adesso è un’altra cosa: va avanti con alterne fortune da 58 anni dopo aver toccato i 150 milioni di telespettatori nel 1969, l’anno dello sbarco sulla Luna, l’unico evento che riuscì a superare le cifre del Mago Zurlì.
I personaggi principali erano lui, il Mago, e Topo Gigio, un pupazzo animato che sbucava all’improvviso da quello schermo in bianco e nero talvolta anche un po’ sfocato. Duettavano per i bambini, ma non piacevano solo a loro: il momento cult era il “Ma cosa mi dici mai” del topo che pronunciava quella frase tormentone con lo sguardo rivolto verso il basso.
Tutto cominciò a cambiare nel 1973 quando Cino Tortorella abbandonò il vestito da mago e i bambini presero a cantare su basi preregistrate, senza la solennità dell’orchestra. Nel 2009, dopo quasi mezzo secolo, finì l’epoca di Tortorella. Anche se non era più da tempo il mago dal mantello azzurro, il distacco avvenne nel modo peggiore, al punto da ideare un’azione legale per riprendersi quella sua creatura: «La Rai – disse – mi sta facendo fare la fine di Mike Bongiorno, ma io non avrò nemmeno un funerale in Duomo».
Non lo avrà, ma per tutti quelli che sono cresciuti a pane e Mago Zurlì è come se lo avesse avuto. Nel 2007 e nel 2009, aveva rischiato grosso con due ischemie e ogni volta ce l’aveva fatta a riprendersi. Lui ci scherzava su: «Un mago non muore mai». E un po’ è vero, al massimo un mago si riposa. Anzi, prende il volo.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto