La dietista friulana che mette in forma i calciatori
Sara Fabris, già nello staff dell’Udinese, si è trasferita in Russia per lavorare allo Spartak Mosca

I più appassionati di calcio probabilmente già sanno dello Spartak Mosca “italiano” di Massimo Carrera, campione di Russia in carica. Pochi però sanno che quello stesso Spartak, da quest’anno, è anche un po’ friulano. Merito di Sara Fabris, dietista di Spilimbergo già nello staff dell’Udinese, ora ambasciatrice con tutta la propria esperienza nelle fredde terre cosacche.
Dottoressa Fabris, come è arrivata sino in Russia?
«Diciamo che tutto è nato grazie all’équipe medica della Juve, che prima era con me all’Udinese. Lo staff dello Spartak ha voluto dare maggiore importanza anche all’aspetto nutrizionale e ha preferito prendere contatti con esperti in Italia. La società bianconera ha fatto un po’ da tramite. Poi mi sono presentata e il mio curriculum è piaciuto anche ai russi».
Quindi lo scontro di culture culinarie...
«Qualcosa di buono qui c’è. Per esempio usano molto le zuppe, che hanno nutrienti importanti e che noi tendiamo a non somministrare. Il problema è che la cucina russa è piena di grassi. Tuttavia non abbiamo imposto la nostra cultura culinaria, siamo riusciti a rivisitare la loro, adattandola ai nostri criteri. E il risultato è stato molto positivo».
In Friuli si era fatta conoscere per il prosciutto crudo. Ha portato con sé altre novità?
«Rispetto a Udine qua è diverso. Lì si poteva avere un prosciutto di ottima qualità, allo Spartak invece abbiamo tolto tutti gli affettati, perché il livello non è lo stesso. In Russia, per esempio, è difficile trovare anche pesce di buona qualità. Come sempre cerchiamo di inquadrare la dieta sulla base degli allenamenti, selezionando gli alimenti e distribuendoli in modo oculato. Prima dell’attività fisica si privilegiano i carboidrati, dopo si fa un pasto completo per recuperare tutte le riserve. Altra cosa importante sono gli integratori: non sostituiscono gli alimenti, ma nelle giuste modalità e tempistiche riescono a dare qualcosa in più».
E a livello lavorativo è stata dura?
«Sinceramente all’inizio ero un po’ preoccupata a tuffarmi in un mondo differente, ma ho trovato un’accoglienza fantastica da parte sia dello staff sia dei ragazzi. C’è chi è più attento e chi meno, ma in generale il riscontro è piacevole, specialmente se poi vengono spontaneamente a chiederti consigli. Lavorare all’estero apre la mente, perché ti impone modi di lavorare e di ragionare differenti. Il limite grosso, in questo caso, è la lingua: in Russia si fa fatica a parlare anche in inglese, dev’esserci sempre l’interprete. Con inglese e spagnolo un po’ riesco a interagire, specialmente con i brasiliani. Ora c’è anche Pašalic che sa l’italiano. Ma non è così con tutti».
Un’ultima domanda. In Friuli ricordano ancora il caso Muriel.
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«In Sudamerica sono abituati a mangiare diversamente. Luis è stato un po’ più difficile da trattare, ma aveva anche difficoltà fisiche, per cui non era tutta colpa sua. Poi tendeva ad accumulare di più in zona vita che altrove e la cosa si notava. Ma era un bravo ragazzo: la verità sta nel mezzo».
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