La criminologa: «È stato un killer che non conosceva le vittime»
La consulente della difesa: persona con esperienze pregresse, forse voleva lasciare un messaggio Poi è battaglia col pm: «Fra Ruotolo e Trifone rapporti amicali». «Infatti le molestie su Facebook...»

Un fiammifero in una pozza di benzina, forse, avrebbe avuto un effetto meno deflagrante.
Più che una relazione, quella di Chiara Camerani, la criminologa consulente della difesa Ruotolo, ieri è stata una specie di arringa.
A uccidere i fidanzati, secondo Camerani, non può esser stato Ruotolo, ma «una persona con esperienza, una pregressa carriera criminale, ignota alle vittime e autrice di un gesto plateale che è sembrato quasi un messaggio. Ha sparato in rapida successione tre colpi all’uno e tre all’altra, non sfogando la rabbia con l’overkilling (un’azione sovradimensionata rispetto alle reali necessità), ma in modo freddo. Al killer non interessava nemmeno guardarle in faccia, le vittime. Uno che le conosce – ha proseguito Camerani – si pone difficilmente in una situazione di rischio così grave. L’imputato frequentava la palestra, era conosciuto dai commilitoni, così come la sua auto. Nel parcheggio c’erano undici persone nelle vicinanze e, fra queste, tre vicinissime al luogo degli spari. Perché scegliere un luogo così svantaggioso, con due vittime da gestire al posto di una, se il movente fosse stato davvero un litigio con Trifone verificatosi mesi prima? Anche l’arma, poco professionale, è stata gestita con competenza. Pensate al rischio se si fosse inceppata e se il killer, in quel parcheggio, fosse stato davvero una persona conosciuta».
Secondo la criminologa «Giosuè era in rapporti amicali con Trifone e lo dimostrano anche gli ultimi due messaggi prima del delitto: il 2 marzo, quando Trifone lo chiama “Giosueee” e gli fa un favore, avvisandolo di una visita, e l’11 marzo, quando Trifone scrive a Teresa di aver «fatto a mazzate, zigomo rotto, ematomi, un casino». E su Giosuè, dice, non sono state trovate lesioni. Fra Trifone e Giosuè non c’erano conflitti, se non normali screzi fra coinquilini, nell’ambito dei quali Giosuè era mandato a fare da paciere, a mediare. «Perché la sua filosofia – secondo Camerani – è riassumibile nel “Vivi e lascia vivere”».
Quanto alle vittime «Ragone e Costanza erano ad alto rischio. Lui aveva la tendenza a rompere le regole, era esuberante, impulsivo, aveva un secondo lavoro poco compatibile con la vita militare, una condotta entusiasta con le donne, anche sposate, e frequentava una palestra in cui c’erano persone che avevano avuto problemi con gli anabolizzanti. Lei aveva un ex che non si rassegnava e, lavorando come ragazza immagine, poteva aver attratto attenzioni, come dimostra il “Pervertito Riccione” registrato nel suo telefonino».
Il quadretto del Giosuè agnellino e del “vivi e lascia vivere” è stato prontamente attaccato da accusa e parte civile. Il pm Vallerin ha ricordato le molestie di Giosuè a Teresa e Trifone via Facebook col profilo “Anonimo Anonimo”; messaggi di Ruotolo, riferiti a Ragone, tipo “Sono finiti i tempi di quella merda”; la telecamera installata in casa per controllare se Trifone fosse tornato di nascosto in compagnia femminile.
La parte civile, con l’avvocato Fabrizi in prima battuta, e i colleghi Sgarito, Triolo e Gentile, ha rilevato, all’opposto della Camerani, come il killer, fosse davvero stato un professionista, non avrebbe utilizzato «un residuato bellico», nè scelto un luogo così rischioso».
Bastava e avanzava la competenza di un semplice militare, secondo la parte civile, ma la Camerani, sul punto, se l’è cavata con «Io non sono il mago Otelma».
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