La barista non colpì i carabinieri Assolta dal giudice e dal perito

Anita Fasiolo era stata arrestata per resistenza dopo la fuga del compagno a un controllo Il consulente del tribunale ribalta la ricostruzione: era stata lei a essere colpita con un manganello
Di Luana De Francisco

L’avevano arrestata nel cuore della notte, dopo che l’auto sulla quale stava viaggiando era stata fermata per un controllo e che il compagno che la guidava se l’era data a gambe. Per i carabinieri del Norm della Compagnia di Udine che l’avevano trasferita nella camera di sicurezza della caserma di viale Trieste, Anita Fasiolo, 48 anni, residente a Tricesimo, dove per molti anni aveva gestito il “Mixer” e dove è conosciuta anche per la sua passione per il rally, aveva usato violenza nei loro confronti. Aveva reagito al controllo, cioè, colpendo uno di loro con la portiera dell’auto di servizio e schiaffeggiando l’altro sopraggiunto per aiutarlo. Accusa sufficiente a procedere con un’azione penale per l’ipotesi di reato di resistenza a pubblico ufficiale e approdare a dibattimento con una richiesta di condanna.

Il tribunale di Udine non l’ha pensata alla stessa maniera. Forte di una perizia che, documentazione clinica alla mano, aveva accertato sul corpo dell’imputata la presenza di ferite riconducibili ai colpi di un manganello, il giudice monocratico Mauro Qualizza ha assolto la Fasiolo con la formula «perchè il fatto non sussiste». Proprio come aveva sollecitato la difesa, rappresentata dagli avvocati Fabrizio Panella e Mauro Anetrini (foro di Torino), che in relazione al medesimo episodio avevano nel frattempo presentato denuncia contro tutte le forze dell’ordine intervenute quella notte (oltre ai due carabinieri, i quattro agenti della Volante chiamati in supporto). Ritenendo i fatti provati, così come ricostruiti in fase d’indagine, il pm Claudia Danelon aveva invece insistito per la condanna, calcolando la pena in 6 mesi di reclusione.

Era stato il procedere a zig-zag lungo viale Tricesimo della Chevrolet Captiva condotta dal compagno della Fasiolo, un 37enne residente a Buja, a insospettire i militari in servizio quella notte - era il 3 maggio 2013 - nella zona. Invece di collaborare, l’uomo aveva dapprima tergiversato sulla richiesta di esibire i propri documenti e, poi, ostacolato l’esecuzione dell’alcol test, soffiando per tre volte in maniera troppo debole nell’apparecchio. Infine, vista la malaparata, era scappato a piedi, riuscendo a far perdere le proprie tracce tra i capannoni del Terminal nord. È a questo punto che sarebbe entrata in scena la Fasiolo, accusata di avere ostacolato i militari mentre procedevano alla redazione degli atti relativi al rifiuto del conducente di sottoporsi all’accertamento con l’etilometro.

Assai diversa, secondo i difensori, la dinamica dei fatti. A cominciare proprio dal fatto che a subìre le violenze non sarebbero stati i carabinieri, bensì la loro cliente. Per provarlo, i legali avevano prodotto sia il verbale del Pronto soccorso, dove la Fasiolo si era recata la mattina successiva, subito dopo la scarcerazione, sia la consulenza di parte affidata al medico legale Raffaele Barisani, di Trieste, che aveva certificato la presenza di traumi ed escoriazioni a spalle e braccia. Nell’arringa, l’avvocato Panella ha ricordato in particolare l’esito della perizia di cui il giudice aveva incaricato il professor Marcuzzi, di Udine, per chiarire cosa avesse procurato le lesioni riscontrate su alcune parti del corpo della Fasiolo: non di una botta contro lo spigolo di un muro si sarebbe trattato, bensì del colpo inferto con un manganello.

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