«Io, pusher in discoteca, vi racconto come dopo dieci anni ne sono uscito»

UDINE. «È cominciato tutto da uno spinello. Avevo solo 16 anni e volevo vincere la mia timidezza. Volevo sembrare più grande di quello che ero. E invece è stato l’inizio del tunnel». La testimonianza è quella di un quarantenne udinese, ex tossicodipendente. Dopo una decina di anni è riuscito a vincere la sfida personale contro la droga, grazie alla comunità del Centro di solidarietà giovani di don Davide Larice.
«Dal 2006 non tocco nessuna sostanza – dice -. Non ci penso più. Ma prima di chiedere aiuto è passata tanta acqua sotto i ponti».
Carlo, come lo chiameremo in questo racconto per tutelare la sua privacy, è stato un pusher da discoteca, ha visto sotto i suoi occhi alcuni giovani collassare, ha affrontato per tre volte il carcere «perché, come mi dicevano i compagni di cella: quando assaggi il pane della prigione una volta, lo vorrai rimangiare nuovamente. Io non ci credevo a queste storie. Poi mi sono dovuto ricredere».
Con il passare degli anni a Carlo lo spinello non basta più. Diventato maggiorenne prova l’ecstasy e Lsd. «Inizio a frequentare le discoteche – racconta -. Inizio anche a spacciare per procurarmi qualche soldo, ma anche per sentirmi qualcuno ed essere al centro dell’attenzione delle ragazze. Ero sempre stato timido – confessa – avevo problemi a stare in mezzo alla gente. La droga, invece, mi faceva sentire un’altra persona».
Lo spaccio per Carlo diventa un vero e proprio lavoro. «Facevo lunghi viaggi. Non era difficile procurarsi le pasticche, dai quartieri poveri di Milano a quelli malfamati Napoli. Bastava chiedere e avevi. Era come andare in un supermercato a fare la spesa».
Cento – duecento pasticche a settimana da spacciare a qualche piccolo grossista, o al dettaglio in una discoteca. «Ho visto gente collassare sotto i miei occhi, ma non mi rendevo conto della pericolosità. Perchè ti sembrava tutto bello. Guadagnavo ogni sabato dai 5 ai 6 milioni delle vecchie lire». A 25 anni Carlo prende confidenza con la cocaina. «E lì – spiega - comincia il mio calvario. Perché la coca ti distrugge. Sostituisce amici, genitori e fidanzati. Sei solo tu e lei. Ho cominciato così a spacciare quantitativi anche grossi, finchè mi hanno arrestato».
Ma «quando assaggi il pane della prigione una volta, lo vorrai rimangiare nuovamente». Il detto tra i carcerati vale anche per Carlo, che finisce nuovamente in cella. Per ben tre volte. «Ero finito in un grosso giro. Mi avevano condannato a 10 anni.
A quel punto mi è stata prospettata la possibilità di finire in comunità. Prima di allora non ci avevo mai pensato. Perché non ero abituato a chiedere aiuto». «Ho detto subito di sì – continua – perché era l’unica soluzione per uscire da quel posto. In verità è stata la mia salvezza».
Ora Carlo è “fuori dal giro”. «Ho un lavoro, una ragazza, una casa. Mi sono rifatto una vita. Quando prima la mia vita era la cocaina. Ma la sostanza è una falsa amica, ti frega». «A chi cade in questo tunnel dico di avere coraggio, di non chiudersi, ma parlare e chiedere aiuto».
«Sono contrario a ogni tipo di droga. Si sta poco a passare dallo spinello alla cocaina, soprattutto quando si è deboli. I politici continuano ancora a parlare della questione senza arrivare a una vera legge. Dovrebbero rappresentare un esempio e invece non lo sono».
Sulle recenti chiusure di alcune discoteche Carlo dice «Questi provvedimenti non servono. Noi i festini a base di coca li facevamo anche a casa. Se si vuole fermare lo spaccio nei locali di divertimento basta mettere dei cani antidroga all’entrata».
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