Intossicati al ristorante cinese, i titolari: "I test ci scagionano"

PORDENONE. Ci sono storie in cui la verità non è bianco o nero. In cui parti contrapposte ritengono di avere ragione e restano della propria idea, senza però poterla suffragare con prove incontrovertibili. In questo tipo di storie non c’è altra soluzione che raccontarle così come accadono. Fornire i fatti, tralasciare i giudizi e accettare la circostanza che a volte la vita pone di fronte le persone a situazioni complicate.
La vicenda delle intossicazioni alimentari diagnosticate a un gruppo di ragazzi nella tarda serata dello scorso venerdì 13 gennaio, dopo aver cenato nello stesso ristorante, rientra in questo contesto. Ecco, giorno per giorno, la ricostruzione di quanto accaduto.
Venerdì 13 gennaio. Dopo aver cenato al ristorante di cucina orientale e sushi Wei di piazza XX Settembre, inizialmente sei ragazzi, seduti a due distinte tavolate su cui viene servito sushi di salmone e involtini di riso, accusano nelle 24 ore successive febbre a oltre 39, nausea, dissenteria e vomito.
Sabato 14 gennaio. I ragazzi, accompagnati dai loro genitori, si recano al pronto soccorso, dove vengono sottoposti a esami anche per escludere l’epatite A. Gli accessi al pronto soccorso di persone che avevano cenato nel medesimo ristorante e che si sono sentite male superano le 10 unità e proseguono anche nella notte.
Domenica 15 gennaio. Il numero contemporaneo di persone, le loro dichiarazioni e i sintomi uguali per tutti inducono i medici dell’ospedale a far scattare il protocollo per le “tossinfezioni alimentari”. I pazienti vengono dimessi con la diagnosi “Intossicazione alimentare” e vengono inviati nel ristorante gli ispettori del servizio di igiene degli alimenti e nutrizione.
Al loro arrivo, però, gli alimenti consumati quel venerdì 13 risultano finiti e il laboratorio per le analisi, essendo domenica, non è disponibile. Nessun campione di cibo viene dunque prelevato. Vengono solo controllate «le temperature dei frighi e dei congelatori» e risultano «tutte idonee. I prodotti – viene scritto nel rapporto – sono correttamente detenuti e conservati». Il locale resta aperto.
Lunedì 16 e martedì 17 gennaio. Gli ispettori tornano nel locale e prelevano il 16 campioni di riso e maionese e il 17 campioni di salmone fresco. Tutti alimenti acquistati in giorni successivi alla cena del 13 gennaio.
Giovedì 26 gennaio. Il titolare del locale Xu Sujun pubblica su Facebook foto e documenti, pervenutigli, dell’esito dei test sul materiale prelevato il 16 e 17 gennaio, 3 e 4 giorni dopo la cena al centro del caso. I campioni di riso, maionese e salmone risultano «conformi alle normative vigenti». Le famiglie dei ragazzi a cui è stata diagnosticata l’intossicazione alimentare, intanto, decidono di consultare un legale per capire come poter tutelare i loro diritti.
La situazione. Il ristorante Wei, che ha sempre lavorato bene ed è stato apprezzato dalla clientela, a prescindere dai fatti del 13 gennaio, rivendica l’esito dei controlli e riafferma la propria correttezza. Le famiglie delle persone intossicate evidenziano che i test sono stati effettuati su cibo acquistato in date successive alla cena. Di certo c’è che il locale è sempre rimasto aperto, che continua a lavorare e che «non c’è ragione per non venire a mangiare da noi», come giustamente afferma il titolare Xu Sujun. Ma l’ipotesi dettata dalla logica, un acquisto sfortunato di merce che sarebbe potuto capitare a qualsiasi altro ristoratore, non può essere provata nè dai titolari del locale nè dalle famiglie.
Come dicevamo, non sempre la verità è bianco o nero. Fin qui i fatti. Poi a ognuno la sua opinione.
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