Inflitti sei anni alla madre che diffuse via web le foto della figlia nuda

PORDENONE. Sei anni di reclusione, 25 mila euro di multa e interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena. È la condanna che il tribunale di Treviso ha inflitto a un’operatrice sociosanitaria di 59 anni della provincia di Pordenone, per aver filmato, nel 2013, la figlia tredicenne nuda, inviando poi le immagini a una persona conosciuta in una chat sul web.
Il pm Roberta Brunetti aveva chiesto una condanna ancor più pesante: 10 anni. La difesa, rappresentata dall’avvocato Loris Codato del foro di Venezia, aveva invece chiesto di sottoporre l’imputata a una perizia psichiatrica, richiesta respinta dai giudici ma che verrà rinnovata, come sottolineato dal difensore, nel processo in Corte d’Appello. Respinta, infine, la richiesta del Comune di residenza dell’imputata a un risarcimento di 154 mila euro, spesi per fare seguire la figlia dai servizi sociali.
Il fatto risale all’estate 2013 quando l’imputata conobbe in chat un napoletano di cui s’invaghì. «Mi colpì per la gentilezza – ha raccontato ieri in aula l’imputata, mentre rilasciava spontanee dichiarazioni ammettendo le proprie colpe – e subito me ne innamorai.
Dopo un po’ lui iniziò a propormi di mandargli foto e filmati di me e mia figlia nude. In quel periodo eravamo in vacanza a Pola, in Croazia. Ero in completa sua balìa, tanto che mi chiese anche filmati di me mentre avevo rapporti con altri uomini.
Ero così invaghita di lui che non riuscivo a comprendere la gravità di quanto stavo facendo. Mi sentivo sotto ricatto tanto che lui arrivava a dire “Se non fai questi filmati, non ci vedremo mai più”. In realtà io non l’ho mai visto di persona ma solo attraverso la webcam del computer».
Proprio in virtù delle dichiarazioni dell’imputata, il suo legale, l’avvocato Codato, aveva chiesto, invano, una perizia psichiatrica, richiesta che i giudici hanno respinto. «A un certo punto – ha continuato la donna in aula – mia figlia aveva deciso di non vedermi più se non mi fossi curata. Anche mio marito m’aveva detto di affidarmi a uno psicologo.
Ma come potevo fare? Con quali soldi? Una cosa posso dire: non avevo capito assolutamente la gravità delle cose che stavo facendo. Quando filmai mia figlia, lo feci mentre eravamo in stanza d’albergo in Croazia».
La difesa ha preannunciato appello contro la sentenza dei giudici di Treviso le cui motivazioni verranno depositate tra 90 giorni. «Il controsenso – ha sottolineato Codato – sta nel fatto che l’ispiratore, il cittadino napoletano, rischia una condanna molto più blanda. La detenzione di materiale pedopornografico è punita con una pena inferiore rispetto a chi lo produce». —
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