Inedito “Viaggio in Italia” in otto racconti speciali

PORDENONE. La gente che viene a Pordenonelegge si assomiglia tutta. Quando cammini per il Corso, o per Piazza XX settembre, ti basta uno sguardo per capire chi è qui per i libri e chi no. E non c’entra niente la guida gialla tenuta sottobraccio, o la borsa piena di libri in mano, no: è proprio un fatto fisionomico.
Le donne: gonne lunghe, capelli leggermente spettinati, occhiali con montature spesse, braccialetti vagamente etnici. Solo gli uomini cambiano: ci sono quelli coi jeans strappati, le Converse ai piedi anche a cinquant’anni, la camicia a quadri e la tracolla (leggi: quelli che sono qui perché gli interessano i libri), e poi tutti gli altri, quelli vestiti per così dire normali (leggi: quelli che sono qui perché li ha trascinati la moglie).
Oggi è il giorno del “Viaggio in Italia”, otto incontri con scrittori italiani che raccontano la propria città, la propria terra.
Garlini, prima dell’incontro con Tiziano Scarpa su Venezia, dice che la scelta del tema è dovuta al fatto che le città italiane hanno iniziato ad assomigliarsi sempre più, ad essere sempre più omologate (sempre gli stessi negozi, le stesse scritte), e che Pnlegge vuole così dare voce a chi, col proprio sguardo, le proprie storie, può ancora presentarcele nella loro unicità.
Personalmente penso che la prima parte dell’idea di Garlini (città tutte uguali) sia una cavolata, mentre sulla seconda sono tanto tanto d’accordo. Per quanto brand, multinazionali e manifesti si ripresentino identici a Milano, Napoli e Venezia, mi riesce davvero difficile guardare le strade le piazze i monumenti di quelle stesse città e non capire, anzi sentire, al primo istante, che mi trovo proprio lì, proprio lì e non altrove.
Ed è proprio questo che è bello sentire Giuseppe Culicchia descrivere Piazza Palazzo di Torino, dell’umanità quasi surreale che la popola, e il suo racconto di quella volta che gli hanno rubato il portafoglio, ti fa quasi sentire gli odori, percepire il suono delle voci, respirare con le narici lo stesso freddo che si respira lì.
O Scarpa, che ti racconta per filo e per segno perché Venezia è fatta così, perché ci sono campi e campielli, perché una laguna è una cosa diversa da una baia. O ancora Antonio Pascale che ti parla della zia napoletana con la stalla dentro casa, o che attraverso le parole di Massimo Troisi presenta la voce di quell’Italia popolare, fiera, saggia nella sua ignoranza di contro all opposta Italia acculturata, un po’ altezzosa, ignorante nella sua saggezza.
È proprio Culicchia che trova la parola che mi mancava: porto. Lui dice che Piazza Palazzo è un po’ il porto di Torino. E alla fine è questo che è l’Italia: un porto. A volte sicuro, più spesso il suo contrario.
Il porto sicuro sono le nostre città da cartolina: che sono tutte splendide per monumentali ricordi, per angoli discreti, per natura disarmante.
Possiamo comprare qualsiasi tipo di guida, consultare ogni atlante, leggere ogni mappa ma è l’annusare i luoghi forestieri che li rende poi nostri.
Come lasciare il profumo su una maglietta che si sceglierà poi da indossare come pigiama: partiamo con una scia di profumo casalinga, la mischiamo a quella del posto che ci ospiterà e la renderemo, insieme, indossata, nostra.
La nostra terra, questo viaggio nell’Italia, lo compiamo sempre portando una valigia e torniamo a casa che siamo noi stessi valigia.
Piena.
Perché siamo pieni di messaggi, di storie e racconti nella nostra stessa lingua e i lingue differenti, con sapori di contrasto che, comunque, sono nel nostro retaggio innati.
Quello che ci porta a girare per le nostre terre è la voglia di cercare, scoprire, esplorare finché quelle terre non diventano prima vicine poi vicinissime e poi tutte nostre.
Allora saranno città di storia in cui viviamo un giorno da turisti a raccontare un po’ di noi, dialetti e parole mai sentite a farci comprendere le sfumature del territorio, favole di chi ha vissuto tutti i giorni di un paese, i mercati, le scuole, le strade, le piazze.
È bello farsi dire l’Italia tutta: chiunque la viva da sempre o da poco, ci porta a diventare esploratore più curioso e attento, di desiderio ripieno e di voglia di viaggiare potenzialmente infinita.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto