Industriale e filantropo così Marco Volpe regalò a Udine l’Asilo

Storia di un imprenditore del tessile che nel 1983 fece costruire una scuola materna modernissima per i figli delle famiglie operaie.

Udine 2011. Genius Loci. Alberi e costruzione Asilo Marco Volpe. Telefoto Copyright Foto PFP /Petrussi
Udine 2011. Genius Loci. Alberi e costruzione Asilo Marco Volpe. Telefoto Copyright Foto PFP /Petrussi

In una città brulicante di Friuli Doc, eccoci tornati dentro il Genius loci, la rubrica settimanale dedicata “allo spirito del luogo”, che oggi si nutre di silenzio e di spazi momentaneamente deserti. Stiamo parlando di un particolare istante, un tempo velocissimo, in cui il fiume umano passa da una sequenza di vita quotidiana alla successiva. A volte è nell’assenza di movimento che si ferma cristallino lo spirito del luogo e così stamane, a cancelli chiusi, ci appartiamo dentro la scuola materna “Marco Volpe”, nell’omonima via, a continuare il nostro giro, amorevole, di eccellenze cittadine. Siamo insieme alla storica Liliana Cargnelutti, presenza fondamentale dentro il racconto illuminato che si sta formando da mesi nelle pagine; quello che rievoca la massima luce innovativa della città. E’ la vita borghese degli ultimi quarant’anni dell’Ottocento fino all’inizio della prima guerra mondiale.

Ci eravamo lasciati con una dichiarazione di attenzione verso le donne iscritte alla Società Operaia di Mutuo Soccorso nel 1881 e che fanno le cameriere, le calzolaie, le filatrici, le lavandaie, le ostesse, le sarte, le modiste. In quell’occasione abbiamo ricordato le numerose maestre iscritte alla società. Ora, lontani dal cicaleccio di Friuli Doc, stazioniamo sotto le fronde di un cedro centenario, che ouverture!, tutte prese ad aggiungere al nostro nodo di femmine operaie la radicale presenza dell’uomo. Uno. Marco Volpe, industriale del tessile del cotone, ricordato già all’epoca come filantropo e mecenate e compianto a ogni rievocazione come «un personaggio troppo presto dimenticato».

E’ lui che fa domanda al Comune nel 1892 per ottenere la disponibilità di un fondo pubblico di circa 6000 metri quadri, diventato libero dopo l’abbattimento delle mura, tra Porta Villalta e Porta Poscolle. Scrive: «Fatemi qualunque prezzo» (Il Comune glielo darà gratis, visto lo scarso valore commerciale dell’area e lui per testamento gli donerà l’asilo). A lato c’era e c’è ancora il canale Ledra, fluttuante ospite del nostro paesaggio urbano, creato pochi anni prima l’inizio di questa storia (anni Ottanta). Volpe ci vuole costruire là sopra un asilo infantile, enorme, che possa accogliere fino a 300 bambini (ora ne ospita 128), perché la zona è popolata da famiglie operaie, e lo vuole fare secondo criteri modernissimi di luce, riscaldamento e igiene. Grazie al progetto dell’ing. Giovanni Falcioni, piemontese amico di Volpe per il quale ha già progettato gli stabilimenti tessili in Chiavris, nasce una scuola per la prima infanzia che l’Italia ci invidierà, la cui prima pietra viene posata tra le fanfare il 14 marzo 1893. Nel novembre dello stesso anno l’edificio, voilà, sarà pronto (con superfici conservate tutt’oggi che rallegrano, data l’ormai inconsueta ampiezza), per funzionare ben otto ore al giorno, pasti compresi. Nel sotterraneo ci sarà l’impianto della caldaia: un riscaldamento a vapore, novità tecnologica, che permette temperatura omogenea in tutto il fabbricato. Ci sono lavanderia, legnaia, grande cucina con cuoca; esiste una mitica direttrice: signorina Carlotta Cusani. C’è l’alloggio dell’ortolano. Eh già, perché i giovani ospiti qui si muovono liberamente in giardino, tra alberi, piante ornamentali e «alcuni pezzi di terreno, qua e là, in posizione adatta, per la coltivazione di ortaglie e per le aiuole dei bimbi».

Lo leggo a voce alta. E’ un librino del 1925, prestatomi dalla maestra Michela Dusso che insieme a Giuseppina Dieli sono “le veterane” della didattica alla Marco Volpe. E per il ricreatorio? Nel 1894 è già previsto un buon pianoforte; tra i giochi in dotazione sono considerati tali gli attrezzi per il giardinaggio. Non mancano i giochi fröbeliani; tant’è che il famoso Adolfo Pick, sostenitore dei giardini d’infanzia fröbeliani, ha parole di elogio per il nostro asilo e per il suo metodo educativo evidenziandone, come ci dice Cargnelutti, «funzionalità superiore a quella di più di 2000 asili italiani». Accipicchia. «Strutture queste - continua la studiosa, ex allieva della scuola - molte delle quali mancavano di aria e di luce». Salendo con lo sguardo sulla montagnola di terra e erba, visibile anche a sinistra di chi attende in macchina al semaforo di via Volpe, non ti aspetti che esista sin dall’inizio, cioè dal 1894. Non ci pensi proprio che il tuo occhio sta puntando un gomitolo di terra esistente più o meno uguale da 115 anni.

«Nemmeno Svizzera e Germania - dissero allora gli esperti in visita all’asilo - hanno posti così ben strutturati». A leggere le cronache del tempo ci facciamo subito l’idea, conservata in questa passeggiata, che all’epoca abitavamo l’avanguardia.

Il Corriere delle maestre di Milano, diretto dal cav. Fabiani (un friulano), ospita il 25 maggio del 1902 una lettera di tale Luigi Sutto: «Insomma caro Fabiani, ho avuto qui il piacere di vedere un giardino d’infanzia come avevo sognato tante volte, dove tra l’aria libera e profumata dei fiori, le facoltà intellettuali dei bambini non si inebetiscono per un eccessivo lavoro mentale che trasforma gli esseri umani in pappagalli».

Aggiungiamo che finchè il cavalier Volpe fu in vita (1917), per l’Asilo durò l’età dell’oro. Egli, di carattere schivo e senza figli, aveva cura persino di integrare col proprio orto privato «le ceste di patate, di piselli, di ciliegie». Addirittura prima di morire «fece preparare due grandi balle di cotonina appositamente tessuta, sulle quali aveva ordinato che venisse una striscia, con l’indicazione per l’Asilo».

La storia poi continua diversamente, perché con la guerra il luogo diventa ospedale militare. Ma dopo ospita di nuovo bambini e a noi piace sognare. Così saliamo sulla collinetta. E pensiamo che domattina essi arriveranno, come allora, a correre su e giù «dalla montagnola, delizia dei piccoli abitatori di quel nido di pace», come recito da lassù con orgoglio dal libretto del 1925.

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