Inchiesta "Panama papers", nell’elenco spuntano anche due manager friulani

UDINE. Ci sono anche un udinese e un pordenonese d’adozione nella lista dei primi cento italiani legati a società offshore che sono state gestite o create dallo studio Mossack Fonseca.
Compaiono nei Panama Papers svelati grazie al lavoro dell’International consortium of investigative journalists (Icij) e pubblicati da L’Espresso in esclusiva per l’Italia. Ma entrambi smentiscono l’appartenenza a quell’elenco. Anzi, nel primo caso la compagna dell’interessato, Pantaleo De Carlo, riferisce al telefono che probabilmente c’è stato uno scambio di persone o un caso di omonimia.
O semplicemente un equivoco. «Mi spiace – sono le parole della donna – il mio compagno è fuori. Le posso dire che adesso è in pensione e che non ha mai fatto l’imprenditore. Nella sua vita si è occupato di altro. Probabilmente si tratta di un errore. Davvero non so cos’altro dire».
Pantaleo De Carlo risulta residente a Latisana, come conferma anche il sindaco, Salvatore Benigno, e nell’elenco de L’Espresso viene descritto come un imprenditore della grande distribuzione. «Personalmente non lo conosco – afferma Benigno –, ma da ciò che mi è stato riferito non fa vita sociale e quindi proprio per questo è persona poco nota».
Cade dalle nuvole il presidente della Camera di Commercio di Udine, Giovanni Da Pozzo. Che dice di non averlo mai conosciuto e che non gli risulta neppure nelle liste degli appartenenti alla Cciaa. De Carlo non fa parte nemmeno degli iscritti all’Associazione degli industriali della provincia di Udine, né ha mai partecipato a una manifestazione, a una riunione, a un evento del sodalizio. Dunque, una sorta di mister X che dà un tocco di ulteriore mistero al Panama Papers.
«L’ho visto pure io, ma non ne so nulla». Anche Sergio Vicari, 67 anni, di Cittaducale (Rieti), figura nella lista col figlio Simone, entrambi imprenditori nel settore delle telecomunicazioni.
Il manager fu consigliere dal 12 novembre 2010 e poi delegato dal 10 dicembre dello stesso anno (ma mai rappresentante legale), della Onda communication spa, società (poi fallita) del presidente di Unindustria Michelangelo Agrusti.
All’imprenditore, in fase di indagine preliminare, vennero sequestrati beni per oltre un milione di euro, provvedimento che il tribunale del riesame annullò. Ma l’impegno nella spa di Roveredo in Piano fu marginale, rispetto alle attività che l’imprenditore ha condotto soprattutto negli Usa e in Francia, dove ha risieduto per molti anni.
Sergio Vicari, infatti, è stato ad di Texas instruments incorporated, colosso delle telecomunicazioni con sede a Dallas, quindi in Telit ai tempi di Carlo Fulchir. «Fino a poco prima del Duemila – spiega Vicari – lavoravo in Francia, dove avevo fatto degli investimenti attraverso una società in Banca nazionale di Parigi, Bnp Paribas. Sono tornato in Italia nel 2000 e molti di quegli investimenti rientrarono attraverso bonifici, altri utilizzando lo scudo fiscale».
Il manager scandisce poi: «Non ho alcun conto nascosto, né io, né mio figlio Simone. Ho letto la lista e sono rimasto sorpreso. Ho chiamato il mio legale per capirci di più».
L’uomo non esclude che «gli investimenti nei fondi avvenissero attraverso società registrate altrove, ma questo non spetta a me saperlo. I miei soldi non sono andati fuori: non riesco a capire, non ho conti all’estero».
Torna a ripetere che nel 2009 aveva riportato tutti i suoi averi in Italia, sia con trasferimenti legali («bonifici») sia utilizzando lo scudo fiscale: «Non ho conti esteri da dichiarare». Stesso discorso per il figlio, Simone, che compare subito dopo del padre nell’elenco: «Ho donato dei beni ai figli, probabilmente alcuni investimenti li ho fatti a loro nome. Ma non abbiamo, lo ripeto, fondi occulti all’estero: quando ho dovuto riportare i soldi in Italia, l’ho fatto pagando lo scudo».
Come può spiegarsi, allora, la presenza di quei nomi nella lista? «Tutto questo rischia di trasformarsi in una grande bufala. Se hai un investimento in una banca o una società registrate all’estero non è detto che i soldi siano all’estero».
Sergio Vicari è tranquillo: «Ho letto su L’Espresso anche l’intervista a Rossella Orlandi (direttore dell’Agenzia delle entrate, ndr). Andrà a fondo su questa cosa e giustamente, per capire se si trratta di investimenti, evasione o operazioni di riciclaggio. Intanto, in attesa, è in atto un grande sputtanamento. Sì perché la gente pensa subito ai ladri, agli evasori. E se dici che non ne sai nulla, non ti crede. Ma io non ho nulla di non dichiarato».
Infine Onda Communication spa: c’entra qualcosa? Sergio Vicari risponde ancora più deciso. «Zero! Non ha nulla a che vedere, anche perché quella società non ha mai avuto soldi all’estero». Nell’udienza del 10 marzo sul crac della spa di Roveredo in Piano, al tribunale di Pordenone, le difese (tra cui quella di Sergio Vicari) avevano affermato proprio che non vi sarebbe alcuna prova inconfutabile che fossero state utilizzate società off shore.
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