In tanti per l’ultimo saluto a Tommaso «Ora danzerai in cielo con gli angeli»

Si mischiano all’acqua santa appena aspersa - sul legno chiaro della bara, sormontata da rose bianche, gerbere gialle e margheritine di campo - le lacrime di chi non vuole crederci. E sono in tanti, in silenzio o singhiozzando, a chiedersi ripetutamente se esista un perché abbastanza grande da spiegare la morte di Tommaso Michielan, 23 anni, rimasto ucciso lunedì scorso in un incidente stradale mentre in sella alla sua moto stava percorrendo l’ex provinciale che collega Moimacco e Premariacco.
Ieri l’ultimo saluto. Fuori dalla chiesa di Sant’Anna, a Paparotti, un silenzio assordante, timidamente interrotto solo dal rumore meccanico di una gru all’opera in un cantiere poco distante. Un silenzio quasi assurdo, a pensare quel che è stata la vita di Tommy, cadenzata fin dalla tenerissima età dai passi di danza che negli ultimi anni aveva insegnato a decine di allievi, molti dei quali ieri non sono voluti mancare.
E chissà se Tommaso, come ha pronosticato in chiesa la direttrice della scuola di Danza Dna di Udine, Samantha Rosini, continuerà a «danzare tra le nuvole», con «la musica a palla, il cappellino calato sulla testa e le cuffiette nelle orecchie».
Sembrava di vederlo, ieri pomeriggio, Tommy. Pareva di scorgerlo stretto tra la mamma Sandra e la fidanzata Jennifer, diciott’anni appena: hanno assistito a gran parte della funzione celebrata da don Pier Paolo Costaperaria a braccetto, in primo banco, assieme ai fratelli e alla nonna. «Fate in modo che le lacrime diventino perle di passione, servizio, pulizia interiore e coraggio – ha esortato il sacerdote – valori che hanno animato l’esistenza di Tommaso, andatosene mentre stava assaporando il profumo della primavera della vita».
Dall’ambone, prima della fine della cerimonia, hanno voluto salutare Tommaso anche amici ed ex allievi: «Mi prendevi in giro per i miei passi un po’ goffi – ha detto uno di loro –, ma devo soltanto a te se ho riscoperto l’amore per la danza, che avevo dimenticato».
E poi il ricordo della scuola, affidato alla lettera di un’insegnante della 5A dello Stringher, la classe di Tommaso, con quello straziante «i docenti non dovrebbero mai assistere ai funerali dei loro allievi e raccontare quanto erano bravi».
Chi si sforza di trattenere le lacrime è costretto a cedere, quando un’amica ricorda che Tommaso aveva dovuto sopportare appena dieci mesi fa la prematura scomparsa del papà Paolo, «che sarebbe orgoglioso di te e che ora ritroverai tra gli angeli». E poi quel saluto «che ci scambiavamo sempre: mandi, mandi Tommy».
Quando la bara esce sul sagrato il silenzio è di nuovo totale, talmente irreale da fare male. Allievi, amici, parenti, i colleghi dell’Old Wild West e quelli della scuola di danza trovano consolazione solo parziale negli abbracci che si scambiano vicendevolmente, mentre un’amica appoggia sul feretro una rosa bianca. Mamma Sandra esce di corsa dalla chiesa, temendo quasi di non riuscire a salutare il suo Tommy. «Cuore mio, cuore mio», sospira mentre lascia scivolare la mano sul legno. Gli occhi umidi e sbarrati di molti seguono compassionevoli la donna, affiancata dai fratelli che Tommaso tanto amava.
Resta una frase di Sant’Agostino, ricordata da don Pier Paolo nell’omelia, nella quale provare a trovare consolazione: «Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo». Ovunque. Anche in quella sala prove di via della Roggia, che Tommy animava con i passi di caraibico, trascinando senza sosta, con il sorriso perennemente stampato sul volto, i suoi allievi. —
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