In osteria: tutte bugie, qui si beve meno

I gestori dei locali storici contestano la classifica dell’Istat che pone la nostra regione ai primi posti per consumo e abuso
Udine 28 agosto 2013.Via Paolo Sarpi. Mercoledi' dei Sarpi..© Foto Petrussi Foto Press / Ferraro Simone
Udine 28 agosto 2013.Via Paolo Sarpi. Mercoledi' dei Sarpi..© Foto Petrussi Foto Press / Ferraro Simone

UDINE. I baristi di Udine si “ribellano” alla classifica dell’Istat che disegna il Fvg come una delle prime regioni d’Italia per abuso di alcol. Nessuno nega che i friulani amino bere, ma nella maggior parte dei casi lo fanno in maniera ragionata e consapevole. C’è ovviamente chi, soprattutto tra i più giovani, alza troppo il gomito, ma in generale negli ultimi anni si fa maggiore attenzione alla qualità di quello che si ordina in un’ottica che – come confermato anche dall’Associazione club alcolisti in trattamento – rispetto al passato vede diminuire il consumo di vino.

Perchè, almeno in centro, la clientela adesso punta maggiormente sulle etichette conosciute, piuttosto che sul prodotto “della casa”: si spende di più, cioè, ma si ordinano meno bicchieri. La bocciatura della classifica Istat, però, è a 360 gradi perchè, secondo gli esercenti udinesi, non si può mettere sullo stesso piano vino e superalcolici. Un bicchiere di cabernet o tocai e uno di gin o di vodka non sono la stessa cosa. Così come non possono essere paragonate le abitudini di un friulano e quelle, invece, di chi arriva da fuori regione.

«Non so se siamo fortunati noi – racconta Anna, titolare del “Leon d’Oro” –, ma non abbiamo mai avuto problemi con persone particolarmente ubriache. La cultura del “tajut”, si sa, fa parte della nostra tradizione, ma la maggior parte della gente beve consapevolmente. Le persone ordinano anche più di un bicchiere, è vero, ma mangiando una tartina o delle patatine mentre parlano con gli amici».

Spostandoci di poche centinaia di metri, al bar “Glass”, il discorso si sposta invece sulla provenienza geografica dei clienti. «Premettendo che per me il consumo medio pro capite – dice Rudi, il proprietario – è calato negli anni, ho notato una grande differenza tra chi è friulano e chi, invece, arriva da fuori regione. Noi siamo più attenti a quello che beviamo, gli altri, invece, appena capiscono che un bicchiere di vino della casa costa un euro si scatenano: ne ordinano uno dietro l’altro e non si controllano. Qualcuno che alza troppo il gomito ci sarà sempre, ma non mi sembra una situazione allarmante».

Un’opinione, questa, simile a quella di Michele, titolare dell’omonima enoteca di via Paolo Sarpi. «In Fvg esiste una tradizione – spiega – che in altre parti d’Italia non c’è e se mi vengono a dire, in tutta onestà, che quattro bicchieri al giorno si traducono in un abuso alcolico mi faccio una risata. E poi ormai la gente, almeno qui, beve consapevolmente, scegliendo l’etichetta e privilegiando la qualità alla quantità».

La difesa del buon vino e l’attacco alla classifica Istat, come accennato, passa però anche per una necessaria differenza tra “mosto” e superalcolici. «Non si può mettere tutto dentro allo stesso calderone – dice Monica Toniut, storica titolare della locanda “Al Cappello” –: un conto sono le discoteche, un altro le osterie. E poi, se ci paragoniamo al passato, il consumo è diminuito, specialmente quello di vino». Per Claudio, proprietario de “Alle Volte” in Fvg «così come nel Veneto si consuma e si degusta vino con cognizione di causa», ma non si può stilare una graduatoria comune con i superalcolici «che producono molti più danni e possiedono una gradazione elevata», mentre Paolo di “Pieri Mortadele” ne fa una questione sociologico–culturale.

«Parlare di disagio o di alcolismo cronico per il Friuli – sostiene – è francamente eccessivo. C’è, senza dubbio, qualcuno che esagera, ma sono pochi. Ma per noi friulani gustarsi un buon “tajut” è un fatto culturale tanto che sono gli stessi professionisti a darsi appuntamento, per siglare un’affare, davanti a un bicchiere di vino. E, personalmente, sono orgoglioso di essere il gestore di un’osteria che tramanda una parte di storia di questa terra».

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