In Friuli la crisi fa esplodere i fallimenti

La morsa della crisi non molla e gli imprenditori continuano a cadere. Lo si vede dai dati della sezione fallimentare del tribunale di Udine: nei primi otto mesi le aziende costrette a chiudere sono state 60, il 15 % in più rispetto allo stesso periodo del 2008.
di
Luana De Francisco

UDINE.
La morsa della congiuntura non molla e gli imprenditori, specie quelli dei settori produttivi più esposti ai venti della crisi, continuano a cadere. Uno dopo l’altro, come birilli. É la fotografia che emerge dalla lettura dei dati della sezione fallimentare del tribunale di Udine: nei primi otto mesi dell’anno, le aziende costrette ad alzare bandiera bianca sono state 60, cioè il 15 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2008. Un incremento che conferma un trend ormai consolidato: alla fine dell’anno scorso, le dichiarazioni di fallimento erano state 71, contro le 63 del 2007 e le 55 del 2006. In fila davanti alla cancelleria, con i libri contabili in rosso, c’è soprattutto chi, con la propria società, si era avventurato in attività edilizie e immobiliari. Oltre, naturalmente, agli ancora tanti piccoli e medi imprenditori del Triangolo della sedia. Ma il peggio, secondo il presidente provinciale dei dottori commecialisti, Marco Pezzetta, deve ancora arrivare.


L’impressione, tra gli addetti ai lavori, è che l’aumento più consistente si registrerà in autunno, con il rientro dalle ferie e la conta delle commesse. Che, per qualcuno, potrebbero anche non arrivare. Intanto, quello che si delinea alla fine dei primi due quadrimestri del 2009 è un quadro più che eloquente: sempre più imprenditori alla gogna dei creditori e sempre più aziende iscritte nel ruolo delle udienze di fallimento. Per liquidare quel che resta del patrimonio e far fronte così ai propri obblighi finanziari.


Tante Srl e qualche piccolo imprenditore nel lungo elenco dei nomi delle società destinate a scomparire dal tessuto economico di Udine e della porzione di provincia che afferisce al tribunale di largo Ospedale vecchio. La morìa più elevata, come prevedibile, resta quella che da tempo ha investito il settore del mobile e del legno più in generale: dalla lavorazione alla produzione, senza sconti per nessuno. Non meno colpito il mondo dell’edilizia, che da solo rappresenta un quinto delle ditte fallite dall’inizio dell’anno. Costruttori e ristrutturatori di edifici e venditori e amministratori di immobili, tutti parimenti spazzati via dall’onda lunga della crisi dell’economia mondiale.


Fuori dai giochi anche una miriade di altri imprenditori, impegnati chi nella ristorazione e chi nell’impiantistica, chi nell’abbigliamento e chi nei trasporti. Chiude, e la notizia non può che sorprendere visto il tipo di attività, anche un’azienda specializzata in lavori cimiteriali: la Zannier & Toneatto Srl, di Talmassons. Tra i nomi “eccellenti”, spicca quello della vecchia gestione della pizzeria ristorante “Il Baffone”, a Campoformido.


Quanto basta, insomma, per guardare con preoccupazione alla seconda metà dell’anno. Tanto più se, come osserva Pezzetta, si considerano anche le forme di “salvataggio” alternativo alla dichiarazione di fallimento, alle quali le imprese possono fare ricorso in caso di crisi: concordati preventivi, piani per il risanamento delle imprese e, anche se rari, accordi di ristrutturazione dei debiti. «Se nel fare le statistiche teniamo conto anche di questi tre strumenti negoziali – afferma il presidente provinciale dei dottori commercialisti – avremo una fotografia ancora più reale della situazione in cui ci troviamo. Alla luce dei dati fin qui raccolti, è ragionevole ritenere che, quest’anno, il numero dei fallimenti supererà quello del 2008. Anche perchè – aggiunge – è proprio nell’ultimo quadrimestre che, in genere, si registra l’incremento più significativo. Ci sono imprese sulle quali gli effetti della crisi tardano a riversarsi, per lo sforzo speso nel cercare di tenere duro, magari imboccando strade alternative. Senza contare – conclude – le consuete incognite che attendono gli imprenditori al rientro dalle ferie estive».


A differenza del passato, quando era soprattutto l’incalzare dei creditori a mettere in moto le procedure fallimentari, a crescere ora è anche il numero degli imprenditori che presenta istanza “in proprio”. «Se prima in molti approfittavano delle maglie larghe della legge, per truffare e arricchirsi – sostiene Pezzetta –, oggi si ricorre al fallimento per situazioni di crisi effettiva». I più penalizzati? Secondo il presidente dei commercialisti il problema non è di settore, ma di modalità del servizio. «I primi a scomparire, in questo momento – conclude Pezzetta –, sono i terzisti e i subfornitori, cioè le imprese che, non uscendo direttamente sul mercato con un proprio marchio, finiscono per rimanere strozzate nella catena».
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