In Croazia per ricordare il “Manzin”

Delegazione friulana a Pisino per onorare il partigiano sangiorgino Citossi

SAN GIORGIO DI NOGARO. «Per non dimenticare». Una delegazione friulana con rappresentanti di ventuno Comuni, ricorda a Pisino (Croazia) Gelindo Citossi, il famoso partigiano “Romano il Manzin”, comandante dei ”Diavoli rossi”. Un fiore è stato anche deposto anche nel cimitero di Capodistria (Slovenia) sulla tomba di Mario Tofanin “Giacca” comandante della Gap.

Gelindo Citossi, sesto di nove figli, nasce a Zellina, frazione di San Giorgio: era un ragazzo irrequieto, scappava spesso di casa e si racconta che per settimane non andasse a scuola. Nel libro a lui dedicato dallo scrittore Pierluigi Visentin è definito ingenuo e idealista, testardo e determinato, uno che voleva sempre avere ragione e che non amava le ingiustizie. Diventa personaggio con l’avventurosa liberazione dei prigionieri dalle carceri di Udine. La figura leggendaria di “Romano il Manzin” continua a far discutere: un personaggio che, ancora oggi, divide l’opinione pubblica, “eroe” o “esecutore spietato”. Accolti a Pisino da una folto gruppo di rappresentanti delle associazioni dei combattenti partigiani croati e dalla famiglia di Gelindo, la figlia Iva (assente l’altra figlia Natalina) con marito e nipoti, la delegazione friulana si è recata sulla tomba del comandante dei famosi “Diavoli Rossi” dove lo storiografo Giorgio Cojaniz ha tenuto la commemorazione. Cojaniz, rimarcando che si tratta di una «semplice ma internazionale iniziativa che coinvolge Italia, Croazia e Slovenia», ha ricordato il sacrificio umano dei tanti combattenti di queste nazioni, ma soprattutto ha ripercorso la profonda amarezza che «l’amico Gelindo» provava per l’esilio forzato. Ha messo in guardia dal ritorno della «nostalgia fascista», ricordando la difficile situazione in cui vivono tante persone in Italia. «Non è solidarietà permettere a pakistani e afghani di 20 anni – ha detto – di vivere a Udine, quando nelle loro terre soldati italiani stanno combattendo per portare la libertà alle loro donne come hanno fatto i partigiani in Italia. A questi baldi giovani si deve mettere lo zaino in spalla e mandarli a combattere per la libertà del loro Paese».

Nell’abbracciare la figlia di Gelindo, Cojaniz ha ricordato la storia di questa donna che era nel grembo della madre, quando questa venne presa dai nazisti e messa in un carro bestiame diretto ad Auschwitz. Riuscì a scappare permettendo così alla figlia di nascere libera.

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