In Carnia il futuro del turismo corre su due ruote
Sabato un convegno a Paluzza sulla mountain bike, alternativa allo sci. Il cambiamento climatico e un’offerta che vada oltre gli sport invernali. Dalla contestazione all’opportunità del riutilizzo di percorsi militari

Sarà una bicicletta che ci salverà? Meglio, l’asso nella manica saranno le mountain bike, già individuate dal Cai come strumento adatto all’escursionismo, o l’e-bike, il “sellino democratico” che col minimo sforzo permette a tutti di salire pendii altrimenti problematici? Certo che no, il paradosso è evidente, ma la questione di far leva sulle due ruote, più o meno elettriche, per generare nuovo turismo diventa, grazie alla regìa del senatore Diego Carpenedo, uno sterminato campo di opportunità. Se ne parlerà sabato 7 ottobre in un convegno a Paluzza, promosso dal circolo culturale Enfretors.
Carnia e mountain bike
Il titolo è fin troppo accattivante: “Carnia paradiso della mountain bike”. Eppure si parte dall’affatto consolante impatto del cambiamento climatico e dalla certezza che il freddo ha deciso di lasciare il posto di sempre in montagna, portandosi dietro le copiose nevicate d’antan. Di conseguenza “l’eta dell’oro dello sci volge al termine” stipulando un’ipoteca sul futuro degli sport alpini. La questione è cruciale: mettere progressivamente a fuoco l’opzione del turismo non-sci.
Le contestazioni
Mentre prosegue la contestazione alla “strada” sotto il monte Pleros e si ricorda che il cicloturismo in quota non è pratica invasiva, viene chiaramente alla luce la convenienza del riuso di strade militari, numerose nella alta valle del But, eredità della Grande Guerra, strade forestali, mulattiere e sentieri garanzie di un escursionismo lento, ecosostenibile e capace di regalare la stupefacente bellezza dei percorsi cosiddetti minori.
L’anello che coinvolgendo i Comuni di Paluzza, Treppo-Ligosullo e Paularo – il caso sarà documentato in una clip dall’occhio attento di Roberto Tessari – potrebbe fare da modello, un format per la Carnia. In questo caso, l’idea è di rendere fruibili paesaggi e realtà come il lago Dimon mettendo in comunicazione monte Paularo e Promosio per sconfinare dall’altra parte a Ramaz. In un’area peraltro acquistata da un vecchia conoscenza, Emil Eberhard, esponente di rilievo del “modello austriaco” di fruizione della montagna, ma circondata da proprietà regionali che attendono interventi più incisivi.
Ricordato che Sappada, Forni Avoltri, Prato Carnico e Sauris hanno messo mano a un progetto di ciclabilità in quota, una sorta di Biciplan di nuova concezione, qui cominciano i dolori. Se “fare sistema” è pratica inutilmente abusata, diciamo che la gestione del proprio piccolo orto amministrativo (sono 28 i Comuni carnici) va ancora per la maggiore, a volte, con l’assoluta certezza che il proprio punto di vista sia l’unico possibile.
Vien da pensare che per esempio, nella Provincia di Bolzano, nel 2021 si contavano 508 percorsi ciclabili sovracomunali, con 236 itinerari per mountain bike distribuiti su oltre 2000 chilometri. Un’altra dimensione, ma soprattutto un altro pianeta, in cui il termine sovracomunale non è tabù.
Collegamenti e difficoltà
Sulla carta tutto viaggia abbastanza tranquillamente, in fin di licenza, però, c’è sempre qualcosa che blocca l’ingranaggio. Una suggestione, per esempio, è quella di superare passo di monte Croce Carnico non con il tunnel, dibattito stucchevole anche se, un pensierino, con il Pnrr si poteva fare, ma con una ciclabile, sul tracciato Laghetti di Timau-monte Croce Carnico, già oggetto nel 2018 di un progetto preliminare di fattibilità tecnico economica eleborato dai dottori forestali Alessio De Crignis, Nicolò Francescato e Matteo De Cecco.
Il collegamento con la rete ciclabile austriaca sarebbe di grande prospettiva (è lì: da Mauthen a Villach, una settantina di chilometri con una pendenza media di 3 per cento). Ipotesi snobbata.
Si tratterebbe, anche, di una sorta di sfida alla sorella maggiore, quella ciclovia Alpe Adria che sta concretizzando l’enorme potenziale del cicloturismo. Sicuro, si sta esplorando l’ovvio: è chiaro che i ferri in acqua ci sono già.
La Regione ha già individuato, la Ciclovia della Carnia, ma di fatto sono tratti, a volte brevi, di fondovalle, una rete di percorsi spesso non omogenei. Dalla Comunità di montagna si snocciola un rosario impressionante di interventi.
Spiega il vicepresidente Claudio Coradazzi: «Queste sono solo le risorse disponibili: sulla Amaro-Tolmezzo 1,5 milioni di euro, 300 mila per un ponte a Zuglio, 200 mila per quello di Arta; 150 sulla Arta Terme-Paularo, 500 mila sulla direttrice Ovaro-Comeglians, 2 milioni sulla Ovaro-Ravascletto-Cercivento, mezzo milione sulla Tolmezzo-Cavazzo-Verzegnis; 250 mila per il ponte di Vinadia, 2 milioni per la Villa Santina-Socchieve. Ed è solo l’inizio di un elenco quasi senza fine».
Migliaia di cicloturisti
Qui si apre la questione delle questioni: «Una casa non si può costruire cominciando dal tetto per finire con le fondamenta», dice Fabio Forgiarini, infaticabile presidente di Carnia Bike. Si va a spanne e ci si tiene bassi: Forgiarini calcola in almeno 15 mila i cicloturisti persi nell’inestinguibile dibattito attorno al mancato collegamento tra Amaro e Carnia. Queste sono le fondamenta.
Da anni qui si autoalimenta un braccio di ferro stucchevole. Gli ingredienti sono una ferrovia dismessa, la Carnia-Villa Santina, un’associazione che ritiene abbia una valore storico-culturale, sospettato di sopravvalutazione, ma da conservare, e un progetto che si ispira alle pedalate che distribuiscono reddito da Tarvisio a Grado.
Da una parte si nega, forti della inossidabile forza dei pareri della Soprintendenza, e dall’altra mette in campo un carrarmato come Stefano Mazzolini, vicepresidente del Consiglio regionale: «Si va avanti e basta, alla fine i numeri ci daranno ovviamente ragione».
Numeri nel caso molto comprensibili: “salvare” i binari significherebbe mettere sul piatto circa 5 milioni di euro, creando un sarcofago protettivo. Fantasie, forse.
Sulla ciclabile, con le “prescrizioni” della Soprintendenza, scommette la sindaca Laura Zanella, che racconta come ad Amaro, già oggi arrivino per sbaglio (!) frotte di ciclisti, indotti dall’Alpe Adria.
Un sarcofago da faraoni? «L’aumento non è eccessivo, per il ripristino totale si prevedono circa 4 milioni di euro. Credo che la Regione riuscirà a far sì che questo importante collegamento si attui», dice.
In effetti, fatte le debite proporzioni, la Regione per gli interventi sull’Alpe Adria ha stanziato 14 milioni, anche per sbrogliare finalmente il nodo del collegamento tra Moggio e Venzone (a dirla tutta, il nuovo ponte sul Fella che un qualche attinenza avrebbe anche per le ciclabili, sta aspettando da otto anni).
Le ferrovie dismesse
A proposito di ferrovie dismesse e relative suggestioni, va colta la sollecitazione di Giorgio Cavallo, amministratore di vasta esperienza a Trieste e Udine.
Dal suo osservatorio di Forni di Sopra guarda oltre il Mauria e vede una delle ciclabili più belle d’Europa: quella che da Calalzo porta a Cortina per proseguire fino a Dobbiaco e collegarsi alla straordinaria rete austriaca. Il tracciato insiste per lunghi tratti sulla vecchia linea ferroviaria delle Dolomiti, su cui fino al 1964 correva l’omonimo Trenino, ma segnala anche che la val Tagliamento potrebbe diventare il punto di raccordo tra l’Alpe Adria e la rete veneta.
A distanza risponde Carpenedo, rammentando che «Lienz e Tolmezzo – via monte Croce Carnico – rappresentano i terminali di un percorso quasi naturale: il giro per Dobbiaco-Cortina-Calalzo-Carnia è per chi non teme il chilometraggio estremo». Tetto e fondamenta, si diceva. Il disegno è abbastanza chiaro almeno nei progetti e nelle visioni – e sulla necessità di dare respiro finanziario alle nuove idee – mancano un paio di macro riferimenti indispensabili. Il primo è la cornice legislativa.
Quella forestale non è viabilità ordinaria, né ha a che fare con il Codice della strada, soprattutto in materia di sicurezza (e relative responsabilità). In regione poi, la viabilità forestale è prevalentemente normata in funzione dell’esbosco, mentre la velocissima diffusione delle mountain bike e delle bici a pedalata assistita, sarebbe motivo sufficiente per richiamare il legislatore a concreti aggiornamenti.
La legislazione
«Serve un nuovo strumento legislativo – dice De Cecco – in grado di regolamentare il transito e la fruibilità delle viabilità forestale in riferimento alle esigenze cicloturistiche del nuovo turismo montano». Serve molto altro.
Per dirla con Forgiarini, «insegnare ad andare in bici» a fronte dell’avventatezza indotta, per esempio, dal vantaggio delle pedalata agevolata, dall’infittirsi del traffico e, soprattutto, dalla sottovalutazione di pendenze e percorsi. Servono anche, per fornire un senso economico, alberghi e strutture adeguate.
Qualcosa che l’ex sindaco di Tolmezzo, Iginio Piutti, ha letteralmente sognato: la nascita dei “bikeporti”: «Un sistema di parchi attrezzati per lo scambio auto-bicicletta. Come si usava quando ci si trasferiva a cavallo a ogni incrocio c’erano stazioni di sosta, oggi i si ferma per dar la carica alla bicicletta con i pannelli solari e rifocillare o far pernottare il ciclista in accoglienti B&B o alberghi diffusi.
Un sistema di parchi che parte da Maniago per arrivare a San Pietro al Natisone, passando per Amaro».
Solo un sogno, ma, parafrasando, a sognare si fa pure peccato, ma qualche volta ci si azzecca.
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