Improvvisata di Bobby Solo col chitarrista di Elton John

L'altra sera a Villa Policreti sorpresa per John Jorgenson e la sua band. Serata indimenticabile e viaggio nel rock anni ’60 che ha “rapito” il pubblico

AVIANO. Può succedere che un mito della musica internazionale, che ha riempito gli stadi di mezzo mondo, si esibisca a pochi passi da casa nostra e magari dia vita a un fuori programma inaspettato e intenso?

Sì, è successo giovedì sera a Villa Policreti, pochi passi da Aviano, che ha ospitato un doppio incontro con John Jorgenson, epico chitarrista di Elton John e inarrivabile virtuoso di gipsy jazz e bluegrass.

L’evento, organizzato con la collaborazione di Biasin Strumenti Musicali, era stato preceduto da un seminario che il chitarrista statunitense ha tenuto nella Biasin Concert Hall di Azzano Decimo.

John Jorgenson è stato fondatore di band come la Desert Rose Band negli anni ’80, degli Hellecasters nel ’90, in tour con Elton John per 6 anni, ed è un instancabile esploratore di elementi della world music, blue grass e rock e classica.

A Pordenone Jorgenson si è presentato con una band formata dal bassista Alan Thomson e dagli italiani Cesare Valbusa alla batteria e Franz Bazzani alle tastiere. Sulla carta il repertorio prevedeva una serie di brani tratti dalla lunga carriera di Jorgenson, ma l’improvvisazione ha avuto subito il sopravvento. Responsabilità o forse merito dell’arrivo di Bobby Solo, con famiglia al seguito, che poco prima della fine della cena ha imposto una nuova e diversa tabella di marcia.

Complice l'informalità della serata e il fascino del luogo, era inevitabile che ricordi del rock più tradizionale prendessero il sopravvento con un primo omaggio di John Jorgenson, in sala da pranzo e con chitarra acustica, al suo mito Django Reinhardt. Il tempo di spostarsi all'aperto, e con la complicità di un clima finalmente clemente e gradevole, e la musica si è impadronita del pubblico e del luogo.

Da Run a Wondering boy, scritta dal suo amico Rodney Crowell, ai brani degli Hellecaster come Higlander boogie o You don’t owe me, e poi eccolo, l’inaspettato invito a dividere il palco ricolto a Bobby Solo. Si va subito al sodo con una impareggiabile versione di Blue suede shoes, difficile trattenere il movimento e fare a meno di accompagnare il ritmo, si prosegue con Little sister per poi terminare il breve improvvisato intermezzo con Autumn leaves.

«La faccio molto dolce e delicata» avverte Bobby alla “sua” nuova band, e così è. «Pulizia e intensità da brividi – commenta uno spettatore – ho ancora la pelle d’oca».

John Jorgenson ringrazia e prosegue il suo viaggio nel rock degli anni ’60 terminando con Firewire, altro omaggio al manocuhe di Django Reinhardt. Indimenticabile.

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