Il virus svuota il portafoglio dei friulani: in fumo 2.670 euro a testa

UDINE. A palazzo Chigi si era da poco insediato il primo Governo Prodi e alla Casa Bianca, sull’altra sponda dell’Atlantico, c’era Bill Clinton. Con una ventina di milioni di vecchie lire si poteva acquistare un’utilitaria nuova, i cellulari erano utilizzati solo per telefonare, in estate si svolsero le Olimpiadi ad Atlanta, il Milan aveva vinto lo scudetto e la Juventus di Lippi aveva appena alzato quella che ancora oggi resta la sua ultima Coppa dei Campioni.
L’amarcord è relativo all’anno 1996, quasi un quarto di secolo fa. E fino là, per quanto riguarda il reddito dei friulani, ci ha fatto retrocedere il Covid 19: il Pil regionale, infatti, è scivolato ai livelli di quell’epoca. Lo conferma l’ultimo report della Cgia di Mestre, che ha studiato l’impatto della pandemia su ciascuna delle regioni. Molti i territori che hanno fatto peggio del Friuli Venezia Giulia, la Sicilia, per esempio, torna ai livelli di Prodotto interno lordo del 1986.
A ciascuno di noi, comunque, il virus nato e diffusosi in Cina, è costato la bellezza di 2.670 euro. Va peggio per chi abita a Trieste e Pordenone, con perdite rispettivamente di 2.774 e 2.725 euro, seguono Udine con 2.625 e Gorizia con 2.581 euro andati in fumo. Le categorie che hanno subito i maggiori danni? Nell’ordine: licenziati causa Covid, cassintegrati, partite Iva, professionisti, esercenti. Unica consolazione, per la nostra regione, l’occupazione complessiva che fa registrare un modestissimo incremento, più 0,2% rispetto al 2019. Si tratta di un record positivo, a livello nazionale, visto che tutte le altre regioni accusano emorragie di occupati. Ma è un primato che purtroppo è destinato a durare poco, visto che la statistica non considera gli effetti della seconda ondata della pandemia in atto.
Il quadro generale
A causa del Covid, quest’anno dunque ogni italiano perderà mediamente quasi 2.500 euro (precisamente 2.484), con punte di 3.456 euro a Firenze, di 3.603 a Bologna, di 3.645 a Modena, di 4.058 a Bolzano e addirittura di 5.575 euro a Milano, la capitale economica del Paese e anche la città attualmente più colpita dal virus. A stimare la contrazione del valore aggiunto per abitante a livello provinciale ci ha pensato l’Ufficio studi della Cgia che, inoltre, ha denunciato un altro dato particolarmente allarmante: anche se subirà una riduzione del Pil più contenuta rispetto a tutte le altre macro aree del Paese (- 9 per cento), il Sud vedrà scivolare il Pil allo stesso livello del 1989. In termini di ricchezza, pertanto, “retrocederà” di ben 31 anni. Su base regionale Molise, Campania e Calabria torneranno allo stesso livello di Pil reale conseguito nel 1988 (32 anni fa) e la Sicilia nientemeno che a quello del 1986 (34 anni orsono).
Gli artigiani mestrini tengono a precisare che i dati emersi in questa elaborazione sono sottostimati. Aggiornati al 13 ottobre scorso, non tengono conto degli effetti economici negativi che deriveranno dagli ultimi Dpcm che sono stati introdotti nelle ultime settimane. Altresì, la Cgia precisa che in questa elaborazione la previsione della caduta del Pil nazionale dovrebbe sfiorare il 10 per cento, quasi un punto in più rispetto alle previsioni comunicate il mese scorso dal Governo attraverso la Nadef (Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza).
Il focus sul Nordest
A Nordest la perdita di valore aggiunto più pesante è quella del Trentino Alto Adige (- 3.645 euro, - 9,9% rispetto al 2019), seguito dal Veneto (- 2.982 euro, - 10,2%). Il Fvg ne esce con le ossa meno rotte, - 2.670 e - 9,7% con un reddito pro capite che scende dai 27.570 euro dell’anno precedente agli attuali 24.900. Se consideriamo la macroarea del Nordest il reddito scende da 30.794 a 27.691 euro, con un tonfo del 10,1% e - 3.103 euro. Si allarga così la forbice tra Nordest e Sud, mentre si restringe leggermente, al ribasso, quella con le regioni del Nordovest, che perdono fino al 10,3%.
L’emorragia in fabbriche e uffici
Se nei prossimi mesi il numero dei disoccupati fosse destinato ad aumentare a vista d’occhio, la tenuta sociale del Paese sarebbe a forte rischio. Grazie all’introduzione del blocco dei licenziamenti, quest’anno gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità. Un dato negativo, ma lo sarebbe stato ancor più se la misura sopracitata non fosse stata introdotta dal Governo nel marzo scorso. In termini percentuali sarà sempre il Mezzogiorno la ripartizione geografica del Paese a subire la contrazione più marcata (-2,9 per cento pari a -180.700 addetti). Tra tutte le 20 regioni monitorate, solo il Friuli Venezia Giulia, invece, parrebbe registrare una variazione positiva (+0,2%), pari, in termini assoluti, a +800 unità. Un risultato, quest’ultimo, che, comunque, nelle ultime settimane è peggiorato notevolmente.
Timori per la crisi sociale
«Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Cgia Paolo Zabeo - rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale, soprattutto nel Mezzogiorno, che è l’area del Paese più in difficoltà. Ciò va assolutamente evitato, sostenendo con contributi a fondo perduto non solo le attività che saranno costrette a chiudere per decreto, ma anche una buona parte delle altre, in particolar modo quelle artigianali e commerciali».
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