«Il vero assassino è fuori e spia il processo»
L’avvocato Rigoni Stern: «Non sono stati cancellati dati e le ricerche di armi sono preesistenti nel pc»

«Il mostro non è qui in quest’aula, è altrove. Chi ha ucciso Teresa e Trifone è là fuori e, come un pipistrello sinistro, sta spiando il processo». Con queste parole l’avvocato Roberto Rigoni Stern del foro di Vicenza mette in guardia i giudici delle Corte d’assise. Nella sua arringa, condita da riferimenti colti, il legale di fiducia dell’imputato traccia una panoramica delle prove a discarico dell’imputato, delle piste alternative e confuta sotto vari profili la tesi accusatoria, a partire dalla «debolezza della scena del crimine.
Prova a raccontare ai giudici chi è Giosuè Ruotolo, «indagatoper esclusione dalla Procura» attraverso i racconti dei testimoni (colleghi e commilitoni): affidabile e gentile sul lavoro in caserma, introverso e mite. «Eppure si è tentato di attribuirgli scatti d’ira e un carattere irascibile sulla base di una singola telefonata con il padre, intercettata dai carabinieri», osserva il legale.
Una lite fra Giosuè e Trifone, secondo Rigoni Stern, è inverosimile, perché Trifone viene dipinto da tutti, persino dagli stessi coinquilini, come «un gigante buono», uno che non se la prendeva mai. Né le botte fuori dalla palestra, né la lite per il letto di Giosuè invaso da Trifone alla festa degli alpini, per dare ospitalità all’amica di Teresa, sono avvenute secondo Rigoni Stern. In particolare sull’episodio della festa degli alpini l’avvocato cita un messaggio dello stesso Renna, in cui alle 20 precisa: «Trifone ha detto che dormirà sul divano».
Per quanto riguarda il profilo anonimo su Facebook, secondo Rigoni Stern, Trifone aveva già superato, dopo le vacanze estive insieme con Teresa, la crisi nel rapporto sentimentale causata dai messaggi molesti. Secondo la difesa Trifone non ha mai scoperto l’autore del profilo. Già non gli interessava più a settembre chi fosse stato. In via Colombo non vi sarebbero stati screzi pesanti. Altrimenti Trifone ne avrebbe parlato con i suoi familiari. Invece, non una parola. Tutti i parenti delle vittime non riferiscono – ha ricordato l’avvocato Rigoni Stern – né di litigi né di preoccupazioni da parte dei due ragazzi. L’avvocato osserva poi che Ruotolo è finito in carcere per le dichiarazioni dei suoi ex coinquilini, «respinti dalla finanza per assenza dei requisiti morali». «Romano è stato sentito otto volte dagli inquirenti, Renna nove», conta. Le loro rivelazioni sono state «un work in progress per usare la definizione dello stesso pm».
I messaggi deliranti inviati da Mariarosaria Patrone a Ruotolo sarebbero stati autentici, frutto di un disagio reale da parte della ragazza, mossa da «un desiderio irrefrenabile di tenere sotto controllo una persona, facendogli pesare la sua assenza». La foto di Mariarosaria con l’occhio truccato per simulare una lesione risalirebbe però alla fine di marzo del 2014, quasi un anno prima del delitto. Secondo Rigoni Stern questa è una prova che i messaggi non siano stati una macchinazione architettata dai due giovani per evitare a Giosuè una denuncia (come ipotizzato dall’accusa).
Dal dibattimento, secondo il legale, non emergono cancellazioni massive di dati utili alle investigazioni nei supporti informatici di Ruotolo ma solo aggiornamenti di sistema in concomitanza con le ricerche nel lago al parco di San Valentino. «Eppure la Cassazione ha tenuto in carcere Ruotolo paventando il rischio di inquinamento probatorio». Rigoni Stern spiega anche le stringhe di ricerca “cerco vendo pistola”: sono residui di navigazione online rimasti nell’hard disk (che apparteneva a un pc dell’esercito) risalenti a un periodo precedente alla sua installazione a Somma Vesuviana.
(i.p.)
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