Il titolo del film a Buja: "La città verrà distrutta all'alba"

BUJA. “La città verrà distrutta all’alba” recitava il cartellone pubblicitario incollato davanti al cinema di Buja. Era il titolo del film che la sera del 6 maggio 1976 veniva proiettato in sala. Quando il boato del terremoto riecheggiò anche nel cinematografo seminando il panico tra il pubblico, a molti il titolo del film suonò come un brutto presagio. Non all’alba, ma alle 21 e pochi secondi l’Orcolat distrusse Buja. Le sue frazioni, oggi trasformate dalla nuova toponomastica in strade, furono rase al suolo.
Buja, come tutti i comuni della zona terremotata, reagì con fermezza anche per evitare che quel presagio lasciasse un’ombra di negatività nella comunità. Poche le lacrime versate, i friulani si rimboccarono subito le maniche. Alle richieste di aiuto risposero in tanti. In quelle ore giunsero volontari da tutto il mondo a soccorrere Buja distrutta di sera anziché all’alba.

Scattò una gara di solidarietà che sull’onda di quanto andava predicando don Emilio De Roja , il parroco dei poveri, nativo di Buja, favorì la costruzione di case e chiese. Un esempio per tutti: Avilla fu la prima comunità a ricostruire la propria chiesa parrocchiale senza finanziamenti pubblici, con il solo contributo dei volontari.
A smistare gli aiuti era la Caritas di Udine dove operava anche don De Roja. In questo modo, riconosce pure Mirella Comino sulle pagine del bollettino parrocchiale “La pieve di Buja”, «la cittadina diventava beneficiaria del progetto affidando le sue cinque comunità pastorali non solo all’attenzione della Caritas udinese, ma anche ad altrettante diocesi italiane.
La parrocchia di San Lorenzo fu soccorsa dall’arcidiocesi di Firenze, quella di Avilla dalla diocesi di Como, Urbignacco da Trieste, Madonna di Buja da Brescia e Tomba da Tortona. E all’appello lanciato dal presidente della Caritas italiana, monsignor Giovanni Nervo, di dare una mano alle chiese gemellando le parrocchie con altrettante comunità diocesane, risposero in 76.
A questi aiuti si aggiunsero le donazioni arrivate da oltre 200 comunità diocesane. I soccorsi erano stati personalizzati sulla base dei bisogni di ogni parrocchia rilevati e stimati da un gruppo di volontari inviato sul posto. In quei giorni, in Friuli si ripeteva l’esperienza maturata durante l’alluvione di Firenze. Quel ricordo era ancora vivo nella memoria di molti che non esitarono ad aiutare anche i friulani mentre piangevano quasi mille morti.
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