«Il teatro è un gioco che è vero finché dura»

Da dove cominciare? Dal titolo, quel Furia avicola che rimanda a qualche apocalisse prossima ventura, tipo quell’influenza aviaria che per qualche mese terrorizzò l’Occidente o al play game con gli uccellini incazzati che spopola sul web. Oppure alla signora Cecilia Giménez che, nel 2012, stanca di veder andare a pezzi l’Ecce homo affrescato su una colonna della sua chiesetta in quel di Borja, vicino Saragozza, si prese la briga di ridar lei una ritoccatina a quel dipinto dei primi ’900, trasformandolo in una sorta di Cristo ghignante, divenuto un caso, scandalo da una parte, addirittura paragonato a un nuovo movimento artistico, il boom dello sfregio, dall’altra, con in mezzo infinite discussioni sul valore dell’arte, business con moltissimi visitatori, gadgets e souvenirs...
Eh sì, perché Furia avicola, il nuovo spettacolo di Rafael Spregelburd diretto a quattro mani con Manuela Cherubini, in questi giorni in prova al San Giorgio di Udine dove, coprodotto dal CSS e Fattore K, debutterà per Contatto il il 30 gennaio (repliche il 31 e l’1 febbraio), Furia avicola, dicevamo, si presenta come «una riflessione sull’assurdità dei nostri tempi di crisi – spiega il regista e drammaturgo argentino –. Crisi che a forza di dirla, finisce con lo svuotarsi di senso. Quando invece la crisi è la stabilità, la condizione permanente: in Argentina di sicuro, probabilmente anche qui da voi. Con questo spettacolo vogliamo parlare della crisi del senso, della sensibilità, dei valori, del trionfo della burocrazia». Lo spettacolo si sviluppa dal lavoro che Spregelburd fece due estati fa all’École des maîtres, che si intitolava proprio La fine, la fine dell’Europa, come luogo concreto e metaforico insieme di tutte le contraddizioni contemporanee. «Si parla tanto di fine – continua Spregelburd –, fine della storia, dell’euro, perciò abbiamo voluto mettere in scena questa sensazione di fine, in particolare la fine dell’arte, della burocrazia, del valore del denaro come rappresentazione del valore delle cose».
C’è una trama, cosa vedrà lo spettatore? «È difficile dire quello che succede in scena, certo racconto cose molto concrete, ma descrivere lo spettacolo come una storia sarebbe fuorviante e un po’ confuso: in scena agiscono figure, persone attraversate da storie più o meno quotidiane, che danno lo spunto a riflessioni più profonde, a cercare il senso delle cose. Quel senso che è spesso nascosto nelle pieghe della realtà. Se si spiega tutto, se lo spettatore pensa di capire tutto, allora vuol dire che si annoia, che lo spettacolo non lo sorprende, non lo stimola». Di Spregelburd s’è detto che è «capace di una ricerca nella contemporaneità, senza cadere nella trappola dell’attualità» ,che lui rincarando la dose ha definito «la sorella scema della realtà». «La trappola dell’attualità – conferma il regista – è quella che i media considerano reale, l’esempio dell’influenza aviaria è in questo senso lampante. Così funziona il potere, il divario tra ricchi e poveri non diventerà mai attualità. C’è poi la trappola della realtà, essa pure costruzione del potere. Il teatro ha questa abilità di mostrare come è semplice creare un mondo che non esiste, così come il potere crea una versione del mondo e la presenta come se fosse l’unica realtà possibile. La realtà è manipolata dai poteri forti. Il teatro ha la capacità di creare possibili soluzioni o illusioni di soluzioni che spariscono quando lo spettacolo finisce. Questo per me è importantissimo, è un gioco che diventa vero mentre dura. Il teatro è, dovrebbe essere, come la vita: irregolare e imprevedibile. La sola cosa da fare è goderlo».
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