Il «sì» di Monica e Giampaolo nel paese senza sposi da 35 anni

L’unione tra la dottoressa e il funzionario dell’Uti nella frazione abitata da 12 persone. La festa della comunità nel luogo che difende la sua storia: per noi è un nuovo inizio

Sposi a Givigliana, non accadeva da 35 anni

RIGOLATO. Giurarsi amore eterno a Givigliana, la frazione di Rigolato abitata da 12 persone, è un segno di speranza per la coppia e per il luogo da dove la gente è partita lasciando il cuore tra le case arroccate sulla montagna. Quel «sì» assume anche un segno di appartenenza soprattutto se arriva a 35 anni dall’ultimo matrimonio celebrato nella chiesa dei santi Pietro e Vito. Monica Della Martina, 42 anni, ginecologa all’ospedale di Udine, e Giampaolo Tarpignati, 46 anni, funzionario del Comune di Udine oggi all’Uti, hanno scelto di ufficializzare la loro unione nel paese che custodisce più di un pezzo di storia della famiglia Della Martina.
È accaduto, ieri, nel paese con le case addossate, con i tetti inclinati coperti da tegole carniche che delineano le salite tutto attorno al campanile sul quale sono stati dipinti i volti dei montanari.

L’insieme delle circostanze ha trasformato in un evento quello che, solo apparentemente, sembrava un matrimonio come tanti. Quel «si» pronunciato da Monica e Giampaolo, in una giornata di sole, dentro la chiesetta aperta per l’occasione, ha unito la comunità che ha lanciato un messaggio inequivocabile: «Questo anche per noi è un nuovo inizio».

Un nuovo inizio tenuto a battesimo dal tenente colonnello Massimo Morico, volto noto di Rai1, arrivato a Givigliana non per comunicare le previsioni meteo bensì per partecipare, è lo zio dello sposo, all’evento. «Non ero mai venuto fin su è un posto bellissimo – ha affermato –, quasi difficile venire fin su. State sempre nei miei pensieri perché quando faccio le previsioni in questa zona il temporale pomeridiano è sempre presente, da lontano vi penso».

Alle 11, le campane suonavano a festa. I giviglianesi erano tutti lì, alcuni avevano lasciato le auto nel parcheggio a un chilometro dall’abitato per proseguire a piedi lungo la strada che sale da Tors. A quell’ora, gli invitati con lo sposo giunto da Udine erano già davanti alla chiesa di San Pietro e San Vito. Giampaolo, abito blu e sguardo rivolto all’orizzonte attendeva Monica che, come da tradizione, è arrivata con un discreto ritardo. Abito lungo, quasi bianco. Le spalle fasciate da un inserto in pizzo e il velo leggero che oltre al capo le copriva anche la schiena.

Accompagna da papà Giacomo, Monica è apparsa raggiante, all’ingresso della chiesa i quattro paggetti, due bambini e due bambine, l’hanno accompagnata sulle note della marcia nuziale eseguita dal violinista Guido Freschi. Quelle note che non si sentivano da 35 anni, hanno richiamato tutti: i 12 residenti e i giviglianesi partiti prima e dopo il terremoto del 1976 in cerca di fortuna. Giacomo, il papà di Monica, è uno di questi. Si è stabilito a Tolmezzo, ma lavorava a Udine. «All’Ente friulano di assistenza, in via Aquileia, ho iniziato come assistente e quando ho concluso la carriera ero direttore», puntualizza visibilmente soddisfatto per l’unione tra la figlia e il genero appena celebrata nel luogo dove lui è cresciuto e dove è sempre tornato assieme a Monica.

Alla figlia ha trasmesso la storia del luogo e della comunità e lei, da vera giviglianese, non ha tradito le aspettative. Alla gente che l’ha accolta con affetto, Monica ha risposto con un sorriso e con altrettanta concretezza, quella stessa concretezza che regna da queste parti, ha risposto «si lo voglio» a Giampaolo che le chiedeva la sua mano.

Lo scambio degli anelli rallentato da un nodo troppo stretto che ha creato un attimo di panico subito sdrammatizzato da don Claudio Beorchia, il salesiamo amico di Monica che durante la celebrazione ha ricordato ai presenti il doppio anniversario: «Il compleanno dello sposo e la celebrazione della prima comunione di Monica». Inevitabile l’applauso dei fedeli riecheggiato dentro la chiesetta con le vetrate che lasciano intravvedere il verde del bosco e le geometrie delle case.

Un applauso sincero, quasi commovente: Givigliana ha accolto la nuova unione con affetto. Facile immaginare che il matrimonio di Monica e Giampaolo resterà nella storia di Givigliana segnando, ancora una volta, l’identità della sua gente.
Bepi Gortana è un altro giviglianese, pure lui vive a Tolmezzo. «Alla mezzanotte del terzo venerdì’ di luglio andiamo a piedi al tempio ossario di Timau, onoriamo il voto espresso centinaia di anni fa per proteggere questo luogo dagli incendi», racconta ricordando che tra il 1930 e il 1950, Givigliana contava 400 abitanti, erano boscaioli, cavatori e emigranti, mentre le donne curavano casa e campagna. Questa è una storia simile a molte altre nella Carnia segnata dallo spopolamento iniziato nel secondo dopoguerra. A differenza di altri luoghi, però, Givigliana reagisce. Non pretende di invertire gli andamenti demografici, si limita a difendere la sua storia e le sue tradizioni.

Attraverso il passato, la comunità di Givigliana mantiene vivo il ricordo, quello stesso ricordo che, come ha spiegato don Beorchia in chiesa, rimette al centro le nostre vite. E allora non poteva mancare il lancio del riso, ma soprattutto il taglio del tronco di ciliegio al quale sono stati costretti gli sposi usando una lama neppure molto affilata. All’esercizio di muscoli non si sono sottratti neppure i testimoni e tantomeno Oscar, l’intrattenitore di Givigliana.

«I goliardi sostengono che questo “rito” simboleggia l’abbandono del tetto materno», ha spiegato qualcuno per giustificare il cavalletto addobbato con fiocchi bianchi come pure il contesto ai piedi della discesa che ha messo in difficoltà le invitate costrette a guardare bene dove mettevano i piedi bloccati nei decolté.

Attimi immortalati da fotografi professionisti e provetti per invogliare altre coppie a unirsi a Givigliana. Perché come ha sottolineato il tenente colonnello Morico questo è un luogo di pace. Ripartiamo da qui hanno pensato anche i componenti dell’associazione “Che di Givjano” che nell’ex casa canonica hanno organizzato il rinfresco per gli sposi e gli invitati.

Un momento significativo suggellato dal grido della sposa «viva Givigliana». Qualche attimo ancora, il tempo di scambiare un saluto, un sorriso, un gesto affettuoso in un paese che non ha mai perso l’affetto della sua gente, e poi via verso la pianura, a Villafredda di Leonacco, per il pranzo nuziale. Quella di ieri è stata una giornata significativa per Givigliana, il paese arrampicato sulla montagna che, grazie al suo campanile, non passa inosservato.

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