Il referendum su Repubblica e Monarchia: ecco come sarebbe andata se ci fossero stati i social

L’Italia e il re sconfitto che no nvuol cedere e protesta via Instangram. La gioia delle donne ai primi approcci con le urne

Quello dei social è un mondo nuovo, in parte inesplorato. Doveroso chiedersi cosa sarebbe successo se queste piattaforme (Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp per citare le più note) fossero state disponibili anche solo qualche decennio fa.

E, soprattutto, come sarebbero stati trattati su di esse avvenimenti che hanno fatto la storia.

Ci cimentiamo con il referendum che nel 1946, in Italia, portò all’introduzione della Repubblica al posto della Monarchia.

ROMA, 1946. È passata una settimana dalla chiusura delle urne, i conteggi sono durati più del previsto, ma adesso è ufficiale: l’Italia diventerà una Repubblica.

L’esito del referendum costituzionale del 2 e 3 giugno parla chiaro: 12.717.923 (54,3%) dei votanti si sono espressi a favore di questa forma di governo, in 10.719.284 (45,7%) avrebbero voluto la monarchia.

Ma gli è andata male, così come è andata male alle migliaia di buontemponi che hanno annullato la scheda scrivendo frasi che qui, per decoro, non si possono riportare.

Possono essere invece soddisfatte le donne, che quest’anno hanno finalmente conquistato il diritto di voto in una consultazione popolare.

In tante hanno scelto Facebook per descrivere la loro emozione.

«Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere hanno un’autorità silenziosa e perentoria.

Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore.

Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi.

E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari», ha raccontato Anna Garofalo, una brava giornalista.

«Non siamo più schiave, ma mi tremava la mano quando ho dovuto esprimere la mia preferenza», ha ammesso una sarta di Roma, Ninetta De Santis.

E d’altro canto, anche il papa, Pio XII, lo scorso anno, aveva rotto gli indugi e aperto con decisione al suffragio universale, pubblicando sul profilo Twitter del Vaticano parole esplicite, senza superare i fatidici 140 caratteri.

«Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione».

In effetti, senza volersi schierare nella questione, faceva abbastanza specie che Grazia Deledda, scomparsa una decina di anni fa, potesse essere talmente brava da arrivare a vincere il Premio Nobel e non avere la possibilità di votare.

E chissà quanti anni dovremo aspettare per vedere un’altra donna italiana andare a Stoccolma per ricevere un riconoscimento così prestigioso.

Il grande sconfitto è l’ex re Umberto II. Che da Cascais, nel Sud del Portogallo, dove si è trasferito senza neanche attendere l’esito dei ricorsi, ha mandato un messaggio di protesta al presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi.

«Di fronte alla comunicazione di dati provvisori e parziali fatta dalla Corte suprema», ha scritto il figlio di Vittorio Emanuele III, che su Instagram ha anche postato un’immagine di saluto poco prima della partenza.

«Di fronte alla sua riserva di pronunciare entro il 18 giugno il giudizio sui reclami e di far conoscere il numero dei votanti e dei voti nulli; di fronte alla questione sollevata e non risolta sul modo di calcolare la maggioranza, io, ancora ieri, ho ripetuto che era mio diritto e dovere di re attendere che la Corte di cassazione facesse conoscere se la forma istituzionale repubblicana avesse raggiunto la maggioranza voluta.

Improvvisamente questa notte, in spregio alle leggi e al potere indipendente e sovrano della magistratura, il governo ha compiuto un gesto rivoluzionario, assumendo, con atto unilaterale e arbitrario, poteri che non gli spettano».

Affermazioni rimandate al mittente, tramite tastiera, da De Gasperi stesso: «È un documento penoso, impostato su basi false e artificiose. Un periodo che non fu senza dignità si conclude con una pagina indegna.

Il governo e il buon senso degli italiani provvederanno a riparare questo gesto disgregatore, rinsaldando la loro concordia per l’avvenire democratico della Patria».

Tra gli estimatori della Casa Savoia e dei suoi esponenti c’è senza dubbio Fiorenzo Feluca, uomo forte del Blocco Nazionale della Libertà, che attraverso WhatsApp aveva esortato il sindaco di Monopoli, Carlo Pedoni, a spingere i suoi concittadini a esprimersi a favore del re.

«Li voglio vedere in blocco, armati, con le bandiere andare alle urne a votare per la Monarchia.

Carlo, vedi tu come devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht (per chi ha poca dimestichezza con la lingua inglese trattasi di imbarcazioni da diporto assai grandi, ndr), fai come (qui c’è un vocabolo irriferibile, ndr) vuoi tu, ma non venire qui con un voto in meno di quelli che hai promesso», il messaggio che una fonte anonima ha girato alla nostra redazione.

Nella circoscrizione Bari-Foggia, in effetti, le promesse fritture di pesce potrebbero avere fatto la differenza (il risultato è stato di 61.49% per la Monarchia e di 38.51% per la Repubblica), ma non è bastato.

E ora per Feluca e Pedoni pare anche prospettarsi un’estate al mare: più che in spiaggia, al timone.

E mentre il socialista Pietro Nenni sta celebrando il successo riproponendo l’incisivo slogan da lui coniato «O la Repubblica, o il caos!», c’è chi non si arrende e parla di brogli e di irregolarità.

«Tantissimi prigionieri di guerra sono ancora all’estero. Mio padre è uno di loro e sono sicuro che avrebbe votato per la Monarchia: hanno fatto apposta a indire il referendum senza aspettare il rientro di questi eroi», ha precisato il ventenne Giannino Bianchi di Bergamo.

Si sta verificando che il suo profilo sia autentico: il ragazzo, infatti, su Facebook si autodefinisce “centromediano dell’Atalanta”, un’occupazione che però non risulta né agli inquirenti né ai nostri colleghi della redazione sportiva. Un giallo nel giallo, nonostante il cognome.

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