Il racconto dell’antica arte di costruire i muri a secco

A farla rivivere è Gianni Lepore di Artegna. Li realizza pietra su pietra senza usare malta

UDINE. I muri a secco ha imparato a costruirli fin da ragazzino. Prima di tutto da suo padre “Beppo” che faceva il muratore assieme a suo fratello Ivo. Qualcosa anche dai cugini che avevano un’impresa edile. «Ma loro usavano malta e sassi già squadrati». Lui, invece, i suoi muri li tira su «senza aggiunta di materiali leganti» e con pietre che «prepara» a una a una. Insomma, tutta un’altra storia.

E un’altra tecnica. Tra sasso e sasso ci sono solo, incastrate a dovere, centinaia di scaglie di pietra più o meno grandi. Il risultato sono dei manufatti dallo stile inconfondibile, come si facevano un tempo quando servivano per rendere coltivabili pendii, ridurre l’erosione, ma anche tracciare confini sulle proprietà e riparare le colture dal vento.

Dietro c’è tutta la maestria e l’arte di Gianni Lepore, 58 anni di Artegna, oggi titolare di un’azienda agricola (alleva mucche da latte e vitelli da riproduzione), ma con una gran voglia di tornare a quel mestiere che da sempre ha nel cuore e che per tanti anni è stato la sua professione. «A 15 anni – spiega –, dopo la scuola di muratore allo Ial di Gemona, ero già sotto contratto».

Con l’ultima impresa edile per cui ha lavorato, con sede a Motta di Livenza, si è occupato per lo più di restauri di chiese e castelli, sotto la supervisione della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio. Poi, nel 1986 – nel frattempo si era costruito la casa e insieme a papà e fratello anche la stalla –, la decisione di dedicarsi esclusivamente all’allevamento di bestiame. Ma «la passion pal clap», ammette, non si è mai sopita. Tanto che oggi è tentato di chiudere la stalla per dedicarsi anima e corpo agli amati muri a secco.

Il primo, ricorda, lo ha costruito «a 17 anni, nell’area del Castello di Artegna», dove è poi tornato qualche anno fa per realizzarne un secondo a sostegno di un terrazzamento. Nel frattempo non ha mai riposto scapezzatori (gli strumenti del mestiere, simili a degli scalpelli), punte di tutte le misure e martello. La tecnica è sempre quella che conosceva fin da ragazzino: «Ti insegnavano poco, perché non c’era tempo da perdere per starti dietro. Così molto l’ho appreso sul campo, con l’esperienza».

Il risultato è quello stile inconfondibile che accomuna i muri nati dalle sue mani. Quelle che sanno scegliere le pietre con estrema attenzione («I sassi con fessure vanno subito scartati perché all’interno sono marci e se non si sgretolano subito la pioggia e il freddo, in futuro, potrebbero spaccarli»), che le modificano se necessario («Bisogna preparare a dovere la facciata del blocco e pure i fianchi che non devono assolutamente sporgere, altrimenti il muro vien su storto») e che poi le posizionano.

Che siano del torrente Orvenco, dell’ex cava di Artegna (attiva fino agli anni ’50) o del monte Faeit, i sassi non vanno mai collocati troppo distanti gli uni dagli altri. Poi gli spazi vuoti vanno riempiti con gli scarti della lavorazione.

E in un’operazione in cui è bandita la malta, l’ingrediente principale, svela Gianni, è «la precisione». «Non essendoci alcun tipo di collante il lavoro va fatto a regola d’arte, perché se i sassi non sono ben bloccati, prima o poi viene giù tutto. È solo questione di tempo».

Il segreto, se mai ce ne fosse uno che va oltre la manualità di questo artigiano della pietra, sta nel «realizzare una buona base per il drenaggio, anche questa con materiale di scarto, proprio per impedire che la prima pioggia importante si porti via il muro».

Tutto un sapere che Gianni, da tre anni a questa parte, sta cercando di condividere. In particolare trasmettendolo a un gruppo di “alunni” – nel triennio una cinquantina da tutta la regione – che, grazie a una iniziativa dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, vanno a scuola di muri da lui, in cantieri allestiti tra Montenars e Artegna. Nell’area del Gemonese, spiega infatti Gianni – che è uno degli artigiani fotografati dagli udinesi Antonella Oliana e Angelo Salvin per il loro progetto in cammino “Dentro le botteghe, oltre i mestieri”, presente anche su Facebook –, queste opere che uniscono peculiarità strutturali e componente estetica sono particolarmente diffuse, anche se parecchie «patiscono» oggi l’incuria e l’abbandono, finendo preda soprattutto dell’edera, «la loro grande nemica».

A settembre è previsto un nuovo ciclo di lezioni – sarà la quarta edizione di «Cantieri del paesaggio» che conta “sui banchi” anche alcune donne – di quella che è un’iniziativa entrata a far parte dei programmi della sezione nazionale dell’Alleanza mondiale per i paesaggi terrazzati (uno degli scopi è proprio quello del recupero delle muraglie di contenimento in pietra) di cui l’Ecomuseo delle Acque è il referente regionale. In quell’occasione si ritornerà a Montenars per completare il recupero (supportato anche dal Comune) di un antico muro che costeggiava la strada principale.

Sempre a Montenars, e sempre grazie alla collaborazione tra Ecomuseo e Comune, da un paio d’anni è stato rimesso a nuovo il maestoso muro – lungo una ventina di metri – a ridosso del Roccolo di Pre Checo Placereani. È in mezzo al bosco e Gianni ci accompagna a vederlo. Con un progetto dell’Ecomuseo, l’artigiano della pietra è anche entrato in classe: all’Isis Magrini-Marchetti di Gemona ha tenuto un corso per geometri che hanno poi realizzato un muro a secco nel cortile della scuola, avviando una campagna di ricognizione e schedatura di tutti i manufatti presenti sul territorio.

«Sono un insegnante severo – ammette –; cerco prima di tutto di far capire che un muro deve durare nel tempo. Per questo la sicurezza è una delle caratteristiche fondamentali da tenere sempre a mente».

Se gli alunni utilizzano una pietra non adatta o non adeguatamente preparata, se il muro non è a bolla, va rifatto tutto daccapo. «Regola che vale sempre. Prima di tutto per me».

E che Gianni dice di aver imparato a sue spese, subito dopo il terremoto del 1976, quando era ancora un ragazzino e quella ferita aperta dalla visione di tutte le macerie che aveva attorno non accennava a rimarginarsi. «In quel momento ho compreso che un lavoro ben fatto fa la differenza». Le case costruite con criterio erano, infatti, rimaste in piedi.
 

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto