Il pm: incarcerate a Tolmezzo Raccuglia, numero due della mafia

Trasferimento di Mimmo Raccuglia a Tolmezzo, nel carcere di massima sicurezza del capoluogo carnico. E’ la richiesta che il pm Francesco Del Bene ha espresso nei confronti del boss, numero due di Cosa nostra, arrestato dopo 13 anni di latitanza e detenuto nel carcere palermitano di Pagliarelli in regime di alta sicurezza, ma non ancora di 41 bis.
PALERMO.
Il suo trasferimento a Tolmezzo, nel carcere di massima sicurezza del capoluogo carnico. È questa la richiesta che il pm Francesco Del Bene ha espresso nei confronti del boss Mimmo Raccuglia, arrestato domenica dopo 13 anni di latitanza e detenuto nel carcere palermitano di Pagliarelli in regime di alta sicurezza. Ma non ancora al 41 bis, regime carcerario duro, istanza già firmata dal procuratore di Palermo, Francesco Messineo, e sulla quale si attende la decisione del Guardasigilli.


Il ministro Angelino Alfano già lunedì aveva annunciato l’intenzione di disporre anche per Raccuglia, detto “il veterinario”, la misura prevista per i capimafia dall’ordinamento giudiziario, ma manca la firma alla richiesta giunta dalla procura di Palermo.


Il boss non è ancora stato trasferito a Tolmezzo perchè perchè doveva essere interrogato dal gip di Trapani nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto. Ieri, però, l’ex latitante ha partecipato al processo in cui è imputato, insieme ad altri 16 uomini d’onore della cosca di Borgetto. La richiesta di termini a difesa, avanzata dal suo legale l’avvocato Tommaso Farina, e accolta dal gup, ha determinato il rinvio dell’udienza al 25 novembre.


Nel frattempo continuano le indagini. Gli agenti della polizia Scientifica sta repertando una trentina di «pizzini» scritti a mano, alcuni con nomi e, accanto, cifre: certamente una sorta di contabilità del pizzo. Un block notes con la copertina rossa fitto di annotazioni. E, segnati in un foglietto, i giorni delle vacanze scolastiche per le festività natalizie: date, secondo gli inquirenti, dei prossimi incontri con la moglie e i due figli.


Documenti e appunti personali che “il veterinario”, boss di Altofonte, custodiva gelosamente. Il materiale, definito “molto interessante” dagli investigatori, era conservato in uno zaino che il capomafia ha cercato di “salvare”. Nella brevissima fuga accennata ha lanciato la borsa dalla finestra. Un tentativo vano visto che il “patrimonio” del boss è finito tra i piedi degli agenti che circondavano la casa di via Cabasino, a Calatafimini, ultimo covo del numero due di Cosa nostra. E proprio seguendo i “pizzini” gli agenti della Catturandi e dello Sco sarebbero arrivati al “veterinario”.


Tenendo sott’occhio otto “postini”, che si muovevano tra Camporeale e Altofonte, incaricati di portare la corrispondenza diretta e inviata da boss, la polizia ha individuato il covo di Calatafimi. Un modesto appartamento – unico “lusso” un tapis roulant e un attrezzo per il potenziamento degli addominali – al quarto piano di una palazzina disabitata nella cintura del paese.


Oltre ai documenti, prova delle attività illecite di Raccuglia, nello zaino lanciato dal terrazzo, stipati, c’erano 138 mila euro in contanti, conservati in una busta trasparente, una mitraglietta, due pistole di grosso calibro, proiettili e diversi guanti da chirurgo. Una sorta di kit del killer, vera “vocazione” del boss, sicario di fiducia, insieme a Michele Traina e Benedetto Capizzi, dell’ex capomafia, ora pentito, Giovanni Brusca.


Gli investigatori non escludono che il boss, che ha già cinque ergastoli definitivi per omicidio e una condanna a 20 anni per un delitto tentato, recentemente sia tornato a sparare. Forse prendendo parte personalmente alla faida scoppiata nel territorio di Partinico tra Raccuglia e la cosca di Borgetto, che tentava di opporsi allo strapotere del capomafia riuscito, dopo l’arresto di tutti i principali esponenti del clan Vitale, a estendere il suo dominio fino al confine con la provincia di Trapani.

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