Il patrigno di Reiver: sono pochi 25 anni

Lignano, Enzo Spinelli sulla pena inflitta al killer. «Io e mia moglie la pensiamo come i familiari di Paolo e Rosetta»

LIGNANO. «Quello che pensano i familiari di Paolo e Rosetta sulla condanna lo pensiamo anche noi». Le parole escono fuori a fatica. Perché ora si vorrebbe solo il silenzio. Si vorrebbe che le luci dei media si spegnessero una volta per tutte. Non chiede altro Enzo Spinelli, il patrigno di Reiver Laborde Rico. Non lo dice apertamente, ma anche per lui e per la moglie Sandra quei 25 anni di reclusione a cui il giovane è stato condannato dal tribunale provinciale popolare dell’Avana per l’omicidio della coppia di commercianti lignanesi sono troppo pochi.

«Anche noi la pensiamo come loro», ripete una seconda volta. Molti tra coloro che conoscevano bene i due coniugi speravano che per “Rei” ci fosse l'ergastolo. Non usa mai questa parola Enzo, ma si limita ad aggiungere: «Fin dall’inizio abbiamo cercato di aiutare le forze dell’ordine e la giustizia in tutti i modi possibili anche se questo non potrà far cambiare le cose. Ora basta, quello che dovevo dire l’ho detto, ora lasciateci in pace».

Dopo oltre un anno dal massacro in via Annia di Paolo Burgato e Rosetta Sostero compiuto da Reiver e dalla sorella Lisandra, condannata all’ergastolo dal tribunale di Udine, si chiede solo rispetto e discrezione. Con nessuno dei due figli Enzo e Sandra hanno avuto contatti. Per ora non c’è il desiderio, non c'è neppure la voglia di rivederli. Lo avevano sempre detto loro che i due ragazzi «avrebbero dovuto pagare fino in fondo per quello che avevano fatto».

Avevano sperato come tutti a Lignano che Reiver tornasse in Italia per essere giudicato qui proprio come Lisandra. Era stata Sandra, la madre dei due giovani, a dire senza mezzi termini che nessuna pena sarebbe stata sufficiente per il crimine che avevano commesso.

Ora ci sono state le due condanne, carcere a vita per lei, 25 anni per lui, “Tayson” come gli amici lo chiamavano a Lignano. Ora basta, ora si cerca di riprendere in mano la propria vita. È un dolore grande il loro. Loro che conoscevano bene Paolo e Rosetta. Che ogni mattina li vedevano arrivare in bicicletta nel negozio in via Udine. C'era sempre uno scambio di saluti, una parola gentile. Solo bei ricordi. Poi quella notte maledetta di agosto. La violenza, il massacro. E la scoperta un mese dopo che le mani assassine erano dei loro due figli. Da allora nulla sarà mai come prima. É un dolore che continua a esserci ogni giorno. Una ferita che ancora fa male e che forse non si cicatrizzerà mai.

«Non voglio più parlarne», dice poi Enzo. Del resto, ci sono due bambini piccoli che hanno il diritto di crescere sereni. Ci allontaniamo, mentre la porta della villetta in via Pra di Coi a Latisana si chiude alle sue spalle.

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