Il padre di Sanaa dibattuto in cella: «Rivoglio le figlie»

Il genitore della giovane uccisa vede solo avvocati e fratelli Le due sorelline della vittima sono state affidate alla madre

di Enri Lisetto

Ricorrere per Cassazione o accettare il verdetto di secondo grado? E’ il quesito sul quale stanno ragionando gli avvocati Leone Bellio e Marco Borella con il loro assistito, El Ketaoui Dafani, ex cuoco di Pordenone, marocchino di origine, accusato di avere ucciso la figlia Sanaa il 15 settembre 2009 a Montereale Valcellina. I legali, dal giorno del deposito delle motivazioni della riduzione della pena dall’ergastolo a trent’anni, hanno 45 giorni di tempo per decidere se affrontare il terzo grado di giudizio. Male che vada, comunque, Dafani potrebbe uscire dal carcere tra 15 anni. E ripartire con la vita, finora senza figlie e senza moglie. Non le ha mai incontrate, dal giorno dell’arresto, nonostante abbia manifestato questo desiderio. La moglie, Fatna Charuk - che ora lavora in una impresa di pulizie e ha traslocato da Tiezzo a Pordenone - l’aveva detto chiaro e tondo, proprio il giorno della festa della donna: «Ha cambiato la nostra vita in tragedia, le strade si sono separate. Non è stato facile, mi sono abituata a vivere da sola, con le mie bambine, e per loro vale la pena affrontare tutti i sacrifici». Non andrà in carcere, a trovare il marito, ma conta di tornare in Marocco: «Per pregare sulla tomba di Sanaa e rivedere la mia famiglia d’origine, quando potrò. La vita delle mie bambine di 5 e 11 anni è in Italia».

A fare visita ad El Ketaoui Dafani, nel carcere di Pordenone, oltre ai fratelli e ai legali, recentemente sono state due studentesse delle superiori, per uno stage: «Sembra un uomo spento e solo, senza più parole».

Se la condanna a trent’anni fosse confermata, l’ex cuoco potrebbe uscire dal carcere molto prima, ovvero tra 15 anni, col presupposto della buona condotta durante la detenzione. Ogni sei mesi beneficerà di 45 giorni di sconto pena, quindi da metà pena, ovvero al 15° anno, potrà godere di permessi premio e della semilibertà: fuori dalla casa circondariale (che a sentenza definitiva non sarà più quella di Pordenone) di giorno, dentro di notte. Per gli ultimi tre anni di detenzione, la possibilità di essere affidato in prova ai servizi sociali.

Il 26 aprile scorso la corte d’assise d’appello ha depositato le motivazioni che hanno indotto i giudici a ridurre la pena dall’ergastolo, inflitto in primo grado, a trent’anni. “Abbreviati” i tempi della premeditazione del delitto: secondo il giudice di primo grado l’intenzione di compiere l’omicidio sarebbe maturata il giorno prima, quando figlia di Dafani era tornata a casa raccontando che aveva saputo da una compagna di classe che la sorella lavorava in un ristorante di Montereale Valcellina. Per i giudici d’appello, poche ore prima, ovvero quando, quel pomeriggio, l’ex cuoco venne a sapere recandosi nel locale, che sua figlia conviveva con un italiano e non con un’amica. Confermate le aggravanti della crudeltà e della consanguineità, in sette pagine di motivazioni, i giudici d’appello hanno spiegato che tra le lesioni e la morte della figlia, l’intento era unico unico, mentre nei confronti del fidanzato della figlia, Massimo De Biasio, non vi erano intenzioni omicide.

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Slitta ancora il processo a David Rosset (nella foto), 38enne tecnico informatico di Pordenone, unico imputato nel processo per l’omicidio della baby sitter Annalaura Pedron, uccisa il 2 febbraio 1988 in un appartamento di via Colvera.

Gli allegati alla perizia sul Dna, prova regina del procedimento, sono stati depositati il 3 maggio anziché il 2, e i difensori del 38enne, gli avvocati Esmeralda Di Risio e Filomena Acierno, ne hanno potuto prendere visione solo tre giorni fa; il loro perito, invece, non aveva ancora potuto studiare gli elettroferogrammi mancanti. Da qui la richiesta di rinvio per lesione del diritto di difesa. Il tribunale dei minori di Trieste ha concesso il rinvio (il pm Elena Degrassi si era rimessa alla decisione della corte) per non prestare il fianco a eventuali motivi d’appello e aggiornato il processo al 28 maggio quando accusa e difesa discuteranno in attesa della sentenza che, a questo punto, molto probabilmente slitterà a giugno. L’imputato anche ieri non si è presentato in aula, mentre c’erano padre e sorella di Annalaura Pedron, assistiti dall’avvocato Roberto Pascolat.

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