Il Governo pensa alle riaperture scaglionate per regioni, Fedriga: «Libertà di movimento in Fvg»

Il secondo round del braccio di ferro aperto dalle Regioni con il Governo si chiude a favore degli enti locali. Il pressing dei territori, ma anche di ampie fette di maggioranza, nei confronti di Giuseppe Conte, infatti, comincia a essere talmente pesante che il capo del Governo e i suoi ministri stanno seriamente cominciando a pensare – come peraltro annunciato mercoledì dal ministro Francesco Boccia – di scaglionare le riaperture a seconda delle situazioni locali.
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Non soltanto, però, perché nella seconda videoconferenza fiume tra Regioni e Governo, Roma ha perfino avanzato l’ipotesi – per il momento teorica, ma che rispetto a qualche giorno fa rappresenta una piccola rivoluzione copernicana nel rapporto tra centro e periferia – di fare proprie le ordinanze locali in modo da evitare strascichi giudiziari tra Tar e Corte costituzionale e, soprattutto, di poter anticipare addirittura all’11 maggio le riaperture in alcune zone a bassa presenza di virus. La data del 1° giugno come “liberi tutti” per bar, ristoranti e parrucchieri, dunque, pare allontanarsi sempre di più.
«Stiamo lavorando – ha spiegato Massimiliano Fedriga – perché le proposte messe sul tavolo con la lettera inviata a Conte e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella trovino accoglimento e mi pare che dal Governo si stia cominciando a muovere qualcosa. Il concetto, in fondo, è quantomai semplice e porta alla considerazione del fatto di come, secondo noi presidenti, non abbia senso decidere in questo momento un cronoprogramma centrato su quali attività potranno ricominciare a lavorare e quando. Vogliamo arrivare a un sistema nel quale vengano fissate le regole per cui è possibile che un’azienda riparta se rispetta determinate misure di sicurezza – dai dispositivi di protezione al distanziamento – senza legarsi mani e piedi a date prefissate a tavolino. Il tutto lasciando margine di manovra discrezionale ai territori in base alle singole situazioni».
Il muro eretto da Conte nel corso della conferenza di domenica, e provato a mantenere tale anche da Boccia quando ha minacciato di impugnativa le Regioni, pertanto, sembra cominciare a sgretolarsi. La pressione nei confronti dell’esecutivo, d’altronde, cresce ora dopo ora. Ha cominciato il centrodestra, certamente, cui si è accodata poi buona parte di Pd – pure locale come riferiamo a parte citando lo “sfogo” del segretario regionale Cristiano Shaurli – e Italia Viva con Matteo Renzi che ieri in Senato ha fatto suonare una sorta di penultimatum a Conte facendogli paventare la possibilità di lasciare la maggioranza nel caso in cui il premier non dovesse allargare i cordoni delle libertà che verranno concesse agli italiani da dopodomani.
Già, perché al di là dei discorsi legati all’11 e al 18 maggio, prima c’è da affrontare il nodo di lunedì 4 quando entrerà in vigore l’ultimo decreto firmato da Conte domenica sera. Fedriga, in questo senso, sta lavorando soprattutto su due concetti chiave e cioè «la possibilità di circolare liberamente in tutto il territorio regionale» e la concessione ai residenti di «recarsi nelle seconde case di proprietà». E il ragionamento, in questo senso, ha una sua logicità. Fedriga, infatti, sicuramente lunedì predisporrà una nuova ordinanza regionale – senza dubbio più snella delle precedenti visto come alcune libertà valide da noi saranno contenute nel nuovo decreto –, ma spera in una mossa ragionevole da parte del Governo.
La teoria, in sintesi, è questa: se come sembra per motivi di privacy un cittadino non sarà chiamato a specificare quale congiunto starà andando a trovare, è evidente che, pur soltanto all’interno delle singole regioni, questo si trasformerà in una sorta di liberi tutti. A quel punto, allora, sarebbe davvero difficile giustificare il fatto che una persona possa andare a trovare un amico – o un affetto stabile –, ma non recarsi in una casa di proprietà.
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