Il Genny ‘o bamboccione di “Gomorra”

di Gian Paolo Polesini
C’è un Genny pure nella fiction e anche lui figlio di camorrista. Questo, però, non s’arrampica sulle staccionate stringendo per le palle la finale di Coppa Italia, è un Genny cicciottello e bamboccione, o’stupidello, toh, che nun tiene nemmeno il fegato di freddare per bene uno sconosciuto nei labirinti delle Vele.
Nei giorni di gloria della carogna vera – in Italia, signori miei, per i giornali la brava gente non fa share, ma appena appena sei nu poco delinquente, diventi subito un dio pagano del Male – Sky fa scivolare su Atlantic (canale 110) Gomorra, la serie, riduzione televisiva del film di Garrone, from Saviano’s book.
Fattura di alta sartoria napoletana, regia di Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini, un serrato ritmo rap che ti piglia il fiato in prestito e te lo ritorna alla fine. Lo script è ininfluente, tanto la guerra tra clan è l’unica opzione possibile se nella malavita organizzata ti vuoi avventurare.
Morti a catinelle, direbbe Zalone, minacce, vendette, tradimenti, il solito bestiario che non fatichi a raccogliere guardandoti in giro nei luoghi segnalati dalle migliori guide della delinquenza italiana.
Che un Genny fasullo della tv ne incroci casualmente uno autentico della triste cronaca nello stesso identico periodo, ha del singolare. Si fa per dire. Farci sorprendere in ‘sto paese non è poi così impossibile, accade più o meno ogni giorno.
A parte l’alta caratura del prodotto televisivo, chissà se davvero sentivamo forte la mancanza di nuovi contatti con l’unico inferno italiano autorizzato dallo Stato. Anche no. È uno smuovere angosce inutili. Preferiremmo azioni definitive e silenziose a clamori mediatici mentre tutto rimane dov’è e com’è. Noi giriamo sempre attorno al problema, di colpirlo nemmeno se ne parla. Il piacere sottile di un’agonia. Vuoi mettere?
Sbattuta in primo piano è la famiglia di don Pietro Savastano, che campa in una reggia molto kitsch con i bigliettoni della droga. Qualcuno pesta i piedi a qualcun altro e s’impugna il revolver.
Cadaveri dappertutto, mentre Genny ‘o fessacchiotto si sfracella con la moto nuova. Il regalo per aver quasi superato l’esame «Faccio fuori uno che non conosco per dare piacere al babbo boss», iniziazione necessaria per ambire al trono paterno.
Spara tu, sparo io, spara un terzo e avanti così. Almeno, dai, sono morti d’ autore. Lontano dall’essere concetto consolatorio, però è meglio una fiction fatta bene di una imbarazzante, direbbe Catalano. Però, chiusa questa, diamoci un taglio. Troppi spot alle mafie.
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