Il dipendente va al bar: licenziato. Guerra a colpi di cause col titolare

FAGAGNA. Nella sera conclusiva degli Europei di calcio (era il primo luglio del 2012) il dipendente si era assentato dal posto di lavoro all’Afg packaging per raggiungere un bar vicino dove la tv era accesa sulla finale di Italia - Spagna; quell’uscita dal luogo di lavoro (senza timbrare il cartellino, timbrato poi alle 22.30, fine del turno) non era però andata giù al datore di lavoro, che, dopo un primo richiamo, a distanza di qualche mese aveva denunciato il dipendente per un tentativo di truffa, lamentando anche i danni derivanti al macchinario cui l’operaio era addetto (stando all’azienda, la macchina si era bloccata e il dipendente avrebbe dovuto seguire una procedura specifica per poterla riattivare senza conseguenze per la produzione, cosa che non avvenne).
Nel processo davanti al giudice monocratico del Tribunale di Udine quel fatto però risultò non costituire reato (la difesa aveva parlato di necessità di reperire qualcosa di fresco a causa dei distributori di bevande e snack rimasti vuoti in azienda) e così Raffaele Tam, all’epoca 23enne, difeso dall’avvocato Bruno Malattia, fu assolto.
La vicenda che lo ha visto contrapposto all’azienda di cui Mauro Polano è titolare tuttavia avrà presto un seguito in Corte d’Appello, dove Afg si avvarrà dell’assistenza legale degli avvocati Virio Nuzzolese e Giuseppe Campeis. Me se per la parte penale la parola conclusiva deve ancora essere pronunciata, sul versante del diritto del lavoro l’operaio ha già incassato un punto a suo favore.
Dopo ulteriori vicissitudini dipanatesi nelle aule del tribunale per la denuncia di tentata estorsione (poi derubricata in violenza privata e quindi in esercizio arbitrario delle proprie ragioni) presentata questa volta da Tam contro Polano (conclusasi con un’archiviazione piena per il titolare dell’azienda), la ditta ha deciso di licenziare il dipendente, la cui assunzione era avvenuta con un contratto di apprendistato della durata di quattro anni.
Licenziamento impugnato dal dipendente che, assistito dall’avvocato De Tina di Udine, si è visto riconoscere dal giudice del lavoro la formula del “licenziamento ritorsivo”, con conseguente diritto a un risarcimento quantificato in una cifra di poco inferiore ai 40 mila euro.
L’azienda da parte sua, impegnata a sostenere il confronto giudiziario con l’ormai ex dipendente, è però preoccupata dei riflessi che questa vicenda potrebbe avere all’interno dell’ambiente lavorativo: «Come faremo a evitare che comportamenti del genere vengano ripetuti da altri dipendenti? Chi non lo farebbe per un risarcimento di questa entità?» si chiedono.
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