I vestiti usati non finiscono ai bisognosi
I migliori sono rivenduti ai mercati del Terzo mondo Gli altri ridotti a stracci e gestiti da una cooperativa
Quelli più in buono stato vengono sistemati e rivenduti nei paesi del Terzo mondo. Quelli irrecuperabili vengono utilizzati per farne tessuti o tappetini destinati anch’essi alla vendita. E’ la sorte degli abiti dismessi che sono raccolti nei contenitori gialli della Caritas, sparsi in tutta la provincia. Vestiti che non vanno a risolvere il problema di qualche persona in difficoltà della nostra zona o dell’Africa. La raccolta è gestita dalla cooperativa sociale Karpos, che impiega alcune persone in uno stato di disagio. «Nell’immaginario della gente - afferma il direttore della Caritas, Paolo Zanet - le cose buone che non si usano più finiscono sulle spalle di un povero». Quello che per molti è un gesto di solidarietà, invece, in realtà è diventata una forma di raccolta differenziata. Sono ottanta i cassonetti per la raccolta di abiti, scarpe e cinture disseminati in provincia. Oggetti che non finiscono negli armadi dei più poveri, ma alla “Tesmapri srl” a Montemurlo, in provincia di Prato. Secondo la Caritas si tratta di circa 2 mila tonnellate di materiale l’anno. A raccoglierli è la cooperativa sociale Karpos, che impegna in questa attività persone in stato di disagio sociale. L’iniziativa è appoggiata dalla Caritas che, in realtà, dall’operazione ricava poco. La cooperativa raccoglie il materiale e lo trasferisce su vagoni ferroviari alla “Tesmapri”. Il guadagno viene utilizzato dalla cooperativa per finanziare la sua attività, che ha comunque uno scopo solidaristico che è quello dell’inserimento lavorativo di persone disagiate. Una piccolissima quota arriva anche alla Caritas, che la utilizza per i progetti missionari. Una cifra non certo rilevante e non garantita: per tre anni di seguito, dei denari ricavati con la raccolta, alla Caritas non hanno visto un euro. Quella che era la raccolta di vestiario per i più poveri, di fatto, si è trasformata in una raccolta differenziata di abiti usati. Zanet ha spiegato che ci si è affidati alla “Tesmapri” perchè è una delle aziende più affidabili di questo settore: «Non so che idea la gente abbia dei cassonetti gialli - ha affermato - ma dobbiamo, fatti i debiti distinguo, paragonarli a quelli di un certo tipo d’immondizia». Niente più destinazione al povero «anche perchè - ha sottolineato - i centri di raccolta hanno anche troppo materiale da distribuire». Tutto quello che finisce nei cassonetti gialli, quindi, di fatto è in sovrabbondanza. Per la provincia di Pordenone le due tonnellate di abiti smessi, invece che essere gettate in discarica, finiscono nei cassonetti gialli: «Per questi - ha proseguito il direttore della Caritas - si crea anche una serie di problemi perchè la gente a volte è maleducata e lascia il materiale fuori dai cassonetti, dove capita, con tutto quello che ne consegue. Ma stiamo parlando di materiale che altrimenti finirebbe in discarica». Non si tratta comunque di un’operazione di lucro, ha sottolineato il direttore della Caritas, perchè «la cooperativa da lavoro a chi non avrebbe altra possibilità. Il materiale recuperato poi viene effettivamente venduto sui mercati del terzo mondo perchè l’ho visto con i miei occhi». Il problema, ha proseguito, è che nessuno vuole più vestiti usati, neanche i poveri. Dall’altro lato le difficoltà economiche non sembrano avere messo in crisi più di tanto la maggioranza dei pordenonesi: «La raccolta - ha precisato il direttore della Caritas - è in crescita, tanto che dobbiamo farne una straordinaria a maggio, altrimenti i cassonetti vengono subito riempiti. La facciamo a maggio non a caso, ma quando riteniamo che gli armadi “scoppiano” e quindi sono sul punto di mandare in crisi raccolta e cassonetti».
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