I musulmani: «Discriminati sul lavoro»
Vincere il pregiudizio e la diffidenza è impresa non facile per chi ha dovuto ricominciare una vita lontano da casa. Non si lamentano i tanti islamici che risiedono da anni in Friuli anche se, fanno capire, certe discriminazioni bruciano. «In periodi di crisi come questo siamo i primi a essere licenziati» racconta Ibrahim Amarhoun, 30enne marocchino, uno sguardo limpido stampato su un volto ricoperto da una folta barba. «Quando il lavoro scarseggia – aggiunge Alessandro Spartà, presidente dell’associazione islamica Al Salam – c’è una sorta di graduatoria: si privilegiano gli italiani, poi gli stranieri, provenienti dall’Est europeo, quindi gli africani cristiani e, per ultimi, i musulmani».
Il timore di ciò che non si conosce si trasforma in pregiudizio. E dire che, nell’ultimo triennio, da quando la crisi ha cominciato a mordere forte, molti extracomunitari se ne sono andati. Sono tornati nei loro paesi d’origine, oppure si sono diretti in Francia o Germania, in cerca di lavoro. Così l’afflusso alle sale di preghiera si è assottigliato. «Il venerdì – racconta Mostafa Fallahi, in via del Vascello – si riuniscono in preghiera fino a 200 persone». Vengono dal Maghreb, ma anche dall’Africa centrale, dall’Est europeo, tutti riconducibili alla galassia sunnita. «L’attacco alle due torri dell’11 settembre e il modo in cui è stato trattato dai media – sottolinea Fallahi – hanno inasprito i pregiudizi nei confronti dei musulmani e dei loro precetti. Quanto succede durante il Ramadan, del resto, non è poi così dissimile da ciò che, un tempo, apparteneva alle culture ebraica e cristiana. Il digiuno, l’astinenza e la carità erano valori comuni a queste religioni monoteiste. Per molti, il loro valore è stato dimenticato. Non per noi». (a.c.)
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto