I friulani si sentono “local” e così Europa e Italia perdono il loro appeal

Gli abitanti della regione si identificano quasi del tutto con i confini d’origine. Pesano pure le differenze generazionali: i giovani quelli più propensi alle aperture

I nordestini hanno identità territoriali tri-polari. Da un lato, esprimono un senso di apertura, si sentono cittadini del mondo, dove i confini fisici tradizionali pesano sempre meno nel definire un’appartenenza: gli “universalisti”. Dall’altro lato, i “radicati”, quelli per cui prevale la centralità del territorio d’origine, l’attaccamento alle tradizioni: l’identificazione a km0. In mezzo ci sono i “glocali” che esprimono un attaccamento alle radici locali, ma nel contempo si proiettano nel mondo.

I primi sono ancora cospicui numericamente, rispetto a 5 anni fa, ma in calo. Erano il 51% nel 2014, ma oggi diventano il 44,3%. I secondi, invece, costituiscono una pattuglia che annovera un nucleo sostanzialmente stabile di simpatizzanti, passando dal 23% (2014) al 25,5%. I terzi, invece, aumentano le schiere: dal 26% (2014) al 30,3%.

Global in frenata

Le nuove tecnologie e i social ci connettono col mondo, diverse imprese localizzano la produzione oltre le frontiere, la finanza non ha recinzioni. Per non dire delle migrazioni che spostano porzioni di intere popolazioni. Tuttavia, il vento della globalizzazione, che doveva portare a un’apertura e un’integrazione delle diverse parti del mondo, ha perso la sua spinta propulsiva.

Abitiamo in un grande “condominio”. Ma se il condominio non è ben governato genera conflittualità. Così, i processi di redistribuzione avvenuti hanno penalizzato intere fasce di ceti sociali e sistemi produttivi. Soprattutto, ha alimentato un senso di spaesamento e di timore. Aumenta il bisogno di protezione e di sicurezza. Di ancorarsi alle proprie radici, alle identità del mondo originario.

Per dirla con Bauman, si costruiscono le “retrotopie”, visioni che guardano a un passato ritenuto più rassicurante, più dominabile di quello attuale. Di qui, la necessità di marcare il territorio. Di ridefinire i confini, anche fisici. Cercando di limitare e contenere i flussi di ogni genere. Sul piano economico imponendo dazi e barriere agli scambi commerciali. Su quello sociale chiudendo le possibili vie di transito (ai migranti, ma non solo).

Il territorio

All’interno di questi fenomeni, la dimensione del territorio torna centrale. Quasi tutti i partiti sono scomparsi dalle società locali e si sono inviluppati nelle dinamiche interne, smarrendo – come si usa dire – il contatto con la realtà. Di qui, l’invocazione allo stare in mezzo alla gente, a tornare sul territorio, almeno in modo visibile, a cercare interlocuzioni con i diversi soggetti sociali.

Lo stesso mondo produttivo, poi, sta riscoprendo la centralità del territorio come fattore di competitività: l’importanza del raccontare i prodotti, nel valore aggiunto che assumono le tradizioni e il brand territoriale nell’affermare le nostre produzioni su scala globale, come dimostra il successo del made in Italy o del Prosecco. Dunque, il territorio nelle sue diverse accezioni diviene centrale, paradossalmente, nelle dinamiche globali. In questo senso, l’ultima rilevazione del Centro studi di community group ha esplorato quale fosse il senso d’appartenenza territoriale della popolazione.

Il Nordest

In prima battuta, i nordestini non si riconoscono in un’unica area, piuttosto emerge un’identità molteplice che si costruisce contemporaneamente su più livelli. Si è parimenti europei (45,6%), appartenenti al mondo intero (44,7%) e italiani (44,6%, e più fra i veneti che fra i friul-giuliani).

Non di meno, però, la regione (34,2%) e la propria città o paese (30,6%) occupano uno spazio decisamente rilevante nell’immaginario collettivo. Potrebbe essere diversamente in un’epoca in cui grazie alle tecnologie della comunicazione possiamo in ogni momento e luogo connetterci con qualsiasi parte del globo, vedere cosa accade ai nostri antipodi, comunicare in ogni momento del giorno? In cui gli stessi oggetti che indossiamo e utilizziamo quotidianamente provengono da più parti del mondo, e così pure il cibo che mangiamo, i canali televisivi che vediamo? Questa condizione produce una riscrittura dei nostri confini (non solo mentali) e, quindi, delle nostre identità: che non possono più essere univoche, ma si ridefiniscono progressivamente. E infatti, rispetto a 5 anni fa, si assiste a una riallocazione delle appartenenze in senso locale, in un ritorno ad ambiti più circoscritti.

Confrontando le due rilevazioni, più che perdere peso l’identificazione col mondo intero, è la dimensione europea a risentirne e in parte anche quella all’Italia (soprattutto in Friuli Venezia Giulia), a vantaggio dell’appartenenza regionale (Veneto) e soprattutto locale (Friuli Venezia Giulia). D’altro canto, il discorso politico e pubblico che da anni contrassegna l’Europa non poteva che produrre un minor senso di appartenenza.

I 5 profili

Costruendo una sintesi delle appartenenze territoriali, possiamo delineare 5 profili. I “cosmopoliti” (15,8%), che si riconoscono esclusivamente come cittadini del mondo ed europei, e gli “italo-globali” (28,5%), che assommano un’identità nazionale a una europea o mondiale, risultano in netto calo rispetto al 2014 (rispettivamente 19,5% e 15,8%). I “glocali” (30,3%) si identificano congiuntamente su un livello regionale/locale, con uno europeo/mondiale e sono in aumento (26%).

Per converso, gli “italo-locali”, in cui troviamo quanti uniscono l’identità nazionale con quella regionale/locale, sono il 16,4% e i “localisti” (9,1%) ovvero chi esprime soltanto un’appartenenza regionale e di paese, costituiscono i gruppi in leggera ascesa (rispettivamente 17,8% e 5,2% nel 2014). Quindi, l’appartenenza territoriale si polarizza attorno a tre dimensioni. Chi manifesta un elevato livello di apertura (in calo quantitativamente, in particolare in Veneto). Chi si apre al mondo, mantenendo il proprio radicamento. Chi si identifica quasi esclusivamente nei propri confini d’origine (in crescita soprattutto fra i friul-giuliani).

Va sottolineato, come questo spostamento trovi origine soprattutto nel fattore generazionale. Mentre i più giovani rimangono aperti a un’identificazione su più ampia scala territoriale, i più anziani spostano il loro baricentro di appartenenza nella dimensione locale.

 

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