I 100 anni della Zanussi, la storia della cellula partigiana che beffò i nazisti

Erano “Gli Indispensabili”: sottraevano parti delle stufe ordinate dai tedeschi per costruire rifugi ai combattenti della Resistenza

PORDENONE. La celebrazione di un centenario è per forza affollata di ricordi e, nel caso della Zanussi Rex, anche di indiscutibili successi.

La storia di Pordenone si è sempre intrecciata con quella della grande fabbrica di elettrodomestici. Lo sviluppo industriale, fonte di benessere, cultura, fermenti politici e sindacali ha accompagnato sia l’evolversi della città che dell’intera provincia pordenonese, coinvolgendo anche l’Udinese e il vicino Veneto.

Ma nelle celebrazioni della ricorrenza del centenario di fondazione della Zanussi c’è il rischio di far passare sotto silenzio una pagina importante della sua storia, saltata sempre a piè pari nelle varie monografie, così come in tutte le celebrazioni ufficiali: il rapporto con la Lotta Partigiana di Liberazione dal nazifascismo, di quella che sarebbe poi diventata, nel dopoguerra, e lo è tutt’oggi, la maggior industria pordenonese. La Zanussi ha fatto parte della Resistenza.

È una storia particolare la sua, unitaria fra garibaldini e osovani, documentata nel tempo dai vivi ricordi dei vari protagonisti di quella fabbrica, dell’Anpi provinciale, nonché sui saggi storici che questi hanno lasciato.

L’industria Zanussi nel Secondo conflitto mondiale

Durante la guerra lo stabilimento si trova in via Montereale. È il frutto dell’evoluzione delle officine fondate da Antonio Zanussi, che, grazie al proprio ingegno ed entusiasmo nel 1916, durante la Prima guerra mondiale, aveva fondato la prima officina fumisteria in una piccola sede di corso Garibaldi.

Il trasferimento nella nuova struttura industriale di via Montereale, con 40 dipendenti, inclusi Antonio Zanussi e i figli Lino e Guido, avviene nel 1934, quando ormai tutta la produzione di stufe reca il marchio Rex, nome del transatlantico che un anno prima aveva stabilito il record dell’attraversata fra Gibilterra e New York in 4 giorni 13 ore e 58 minuti, vincendo il Nastro Azzurro.

Sette anni dopo, nel 1941, con l’Italia da un anno già entrata in guerra a fianco della Germania, i nazisti si rivolgono alla Zanussi per ottenere, su loro progetto, una fornitura di stufe da campo e trincea destinate al fronte russo. Le chiamano “Ferkel”, porcellino.

La loro costruzione, durante tutto l’arco del conflitto, per la Zanussi Rex si rivela un buon affare, come d’altronde la produzione di cucine economiche e componentistica per mense pubbliche. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando il Friuli viene invaso e incorporato nella zona tedesca del “Litorale Adriatico”, le officine Zanussi aumentano la produzione destinata ai tedeschi, soprattutto di stufe Ferkel.

Per farlo, ottengono un regolare rifornimento di materie prime, compresi i laminati di pregio che, in molti casi, sottratti al controllo tedesco, vengono imboscati dall’azienda e, in parte, destinati a costruire preziosi rifugi partigiani in montagna.

La cellula partigiana nella fabbrica

Nello stesso periodo bellico emerge in Zanussi la figura di Eugenio Pamìo. Oggi verrebbe definito manager, responsabile amministrativo: allora aveva la qualifica di contabile. E lui i conti li sa fare molto bene con i tedeschi, ai quali sottrae una gran quantità di materiale.

Nessuno sa, al di fuori del titolare Antonio Zanussi e della rete clandestina partigiana, che Eugenio Pamìo “Piave”, fin dal novembre 1943 rappresenta in città il Partito comunista clandestino nel Comitato di liberazione nazionale di Pordenone, coordinando i rifornimenti alle brigate. Le formazioni della Resistenza nel Pordenonese, già nell’estate del 1944 si costituiscono in modo unitario, dando vita alle Brigate Partigiane Unificate Ippolito Nievo A per la montagna e Ippolito Nievo B per la pianura, entrambe formate da garibaldini e osovani con un unico comando, una sola intendenza e una sola cassa.

Eugenio Pamìo viene catturato dai tedeschi il 13 ottobre 1944, mentre si reca a una riunione clandestina a Udine, con un’automobile guidata dal figlio di Leandro Ortiga (autista del comune), assieme a Giuseppe Asquini “Nigris”, nuovo presidente del Cln pordenonese, Cesare Favaretti “Viale” del Partito d’Azione e Gino Marchi della Dc. Forse i tedeschi non conoscono esattamente il ruolo di primo piano che Pamìo svolge nel movimento partigiano pordenonese, ma qualcosa sospettano, tant’è che lo rinchiudono nel carcere di Udine per poi deportarlo, tempo dopo, nel campo di sterminio nazista di Dachau, dove Pamìo riesce a salvarsi grazie all’arrivo degli americani il 29 aprile 1945. L’attività clandestina in fabbrica contro fascisti e nazisti non si limita però al solo Eugenio Pamìo.

Gli “Indispensabili”

La stessa famiglia Zanussi annovera fra le forze partigiane il comandante Mario Achille Sandini “Porthos”, figlio di Arduina Zanussi, sorella del titolare dell’industria Antonio Zanussi. A “Porthos” fa capo una delle più importanti intendenze partigiane, impegnata a favore delle due Brigate unificate, la Ippolito Nievo A e la Ippolito Nievo B. A guerra finita Achille Sandini, che verrà insignito di Medaglia d’Argento al Valor Militare, rappresenta i comunisti nella Giunta comunale di Pordenone, nominata dal Cln.

Va infine reso noto che Antonio Zanussi ed Eugenio Pamìo, fin dai primi mesi del 1944, avevano redatto un elenco di persone esentate dal prestare qualsiasi servizio esterno per i nazifascisti e per l’organizzazione tedesca del lavoro Todt , in quanto “indispensabili alla produzione di guerra nella fabbrica”. Di quella lista facevano parte sia partigiani che loro fiancheggiatori: Eugenio Pamìo “Piave”, Mario Bettoli “L’Innominato”, catturato dai nazisti e protagonista del primo scambio di prigionieri – tre partigiani contro tre tedeschi – il 3 agosto 1944 a Madonna del Monte.

Dopo la liberazione Bettoli diventa dirigente sindacale, deputato del Psi, consigliere regionale del Pci e sindaco di Porcia. La lista degli “Indispensabili della Zanussi”, organici alla Resistenza, comprende anche Mario Grizzo, Antonio Perisinotti, Enzo Rosset, Sante Grizzo e Ivo Rosset che, costretto a presentarsi ai nazisti, in quanto gli avevano sequestrato e incarcerato la mamma, viene deportato a Dachau alla fine di febbraio del 1945. Anche lui si salva grazie all’arrivo degli americani, il 29 aprile 1945, che liberano il campo di sterminio.

Finita la guerra, dopo la scomparsa nel 1946 di Antonio Zanussi, l’industria che lui ha creato dal nulla, diretta dai figli Lino e Guido, continua a incrementare fatturato e occupazione fino a compiere un ulteriore salto di qualità nel 1954, con il suo trasferimento a Porcia, dove inizia la nuova storia della Zanussi Rex, che arriva fino ai nostri giorni con la multinazionale svedese Electrolux.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:partigiani

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto