Hypo Bank un dirigente rivela: "Ecco come dopavano i leasing"

UDINE. I clienti stipulavano contratti di leasing e la banca, in automatico, applicava fattori correttivi nel calcolo delle rate. Con il risultato di doparle. A ricostruire il meccanismo della colossale truffa operata per quasi dieci anni alla “Hypo Alpe Adria Bank” di Tavagnacco, nel processo in corso davanti al tribunale collegiale di Udine a carico dell’ex direttore generale Lorenzo Di Tommaso e di altri cinque responsabili - tutti accusati di associazione a delinquere e, appunto, truffa -, è stato Stefano Munini.
E cioè colui che, a sua volta dipendente della Hypo, dal 2008 lavorò come assistente di Di Tommaso, nella segreteria della direzione generale. Cominciata il 26 gennaio scorso, la sua audizione, in qualità di teste della pubblica accusa, si è conclusa nell’udienza di ieri.
«Ci sono stati tre diversi fattori correttivi», ha spiegato, rispondendo alle domande del pm Barbara Loffredo, titolare dell’inchiesta. E a conoscerli erano in tanti, almeno ai piani alti, ben prima che lo scandalo scoppiasse, nel 2013, a seguito di una serie di puntate di “Striscia la notizia”.
«Percent o rettifica tasso: così si chiamava il primo di cui venni a conoscenza quando, tra il 2005 e il 2007, fui assegnato al reparto amministrativo crediti – ha detto –. Ero stato chiamato lì proprio per togliere questo fattore correttivo, a fronte delle contestazioni di alcuni clienti oppure su richiesta dei responsabili, perchè dovevano inserirlo a zero su alcune tipologie di clienti.
Era previsto di default su tutti i contratti di leasing, in una mappa informatica che individuava i parametri di calcolo per le indicizzazioni, e poteva essere tolto solo con un intervento manuale successivo. Io agivo su indicazione dei responsabili, Nadia La Neve e Paolo Pellicciotti (entrambi imputati, ndr)».
Poi c’era la cosiddetta rettifica cambio. Era il 2007 e Munini se ne accorse durante un’attività di verifica sulla fatturazione mensile, di cui all’epoca si occupava. «Per due contratti presi a campione – ha spiegato –, notai che la banca aveva applicato una modalità che non era corretta. Un errore, insomma, che segnalai subito all’ufficio per le procedure informatiche».
La segnalazione, tuttavia, restò lettera morta. La spiegazione? «Mi fu detto che la richiesta era di applicare la modalità di calcolo più penalizzante anche per i contratti ante 2007 – ha ricordato il teste – e che a volerlo era la direzione».
Idem dicasi per il terzo fattore distorsivo. «Una modifica ai tassi Euribor sui contratti indicizzati per il 2009 – ha raccontato –. In quel periodo ero in segreteria di direzione. Quando me ne accorsi, chiamai subito la responsabile del Credit processing, evidenziandole l’errore. La sua risposta fu che l’aveva voluto la direzione, cioè Di Tommaso».
In tutti i casi, si sarebbe trattato di «un’applicazione sistematica» e le «sanatorie», quando arrivavano, partivano sempre dalle lamentele dei clienti o dalle richieste di informazioni degli agenti leasing. «Il reclamo – ha puntualizzato Munini – mi perveniva da chi l’aveva ricevuto: l’area legale. Che quindi era a conoscenza, quantomeno, del fenomeno delle contestazioni sulle indicizzazioni».
Era stato lo stesso istituto di credito, a fronte del crescente numero di reclami, a istituire un database e una task force. «Ogni mese (siamo nel 2010, ndr) trasmettevo all’ufficio contabilità un prospetto delle note di credito per la rettifica indicizzazioni. Mi fu chiesto di comunicarle, per conoscenza, anche a Daniele Metus (a sua volta imputato, insieme a Carlo Bellogi e Andrea Micalich, ndr)».
Del sistema - che alterò complessivamente 54.568 contratti, per un totale di 88.134.000 euro di rincari e, quindi, di utili non dovuti - parlerà alla prossima udienza anche il consulente del pm.
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