Gradisca stringe la mano al giovane pakistano

GRADISCA. «Le persone sono come le dita di una mano: non sono tutte uguali. Per questo non ho risentimento verso chi non ha gradito il mio gesto». Per raccontare il suo stato d’animo ha scelto un proverbio della propria terra d’origine Shams Afridi, il 26enne pakistano autore del “messaggio in bottiglia” sul web che ha diviso le opinioni dei gradiscani. Il giovane richiedente asilo aveva scritto un post in italiano su una delle pagine facebook più seguita. «Sono solo, vorrei tanto parlare con qualcuno. Questo è il luogo dove trascorro le mie giornate» aveva scritto l’ospite del Cara fotografando il Leone di San Marco ove spesso si è seduto, come fanno anche tanti gradiscani. Ma non tutti (una minoranza) avevano gradito.
La questione ha talmente infiammato i gradiscani, che ieri l’associazione Personalità multiple ha organizzato un piccolo “flashmob” (intitolato “A braccia aperte”) per stringere la mano al ragazzo pakistano e dimostrargli la solidarietà di Gradisca, con tanto di foto di gruppo sugli scalini tanto discussi. Presenti anche l’assessore all’immigrazione, Francesca Colombi, e il direttore della Caritas diocesana don Paolo Zuttion. In precedenza, nell’ambito del progetto ColOurs voluto dall’amministrazione comunale, i migranti, i bambini della scuola dell’infanzia e tante famiglie avevano partecipato alla decorazione di alcune panchine al parco della Pineta. Abbiamo voluto conoscere Shams: «Non pensavo di suscitare questo clamore – ha spiegato -. Davvero volevo solamente conoscere qualcuno. Avevo capito che questo monumento è molto importante, ma avendo visto spesso altre persone sedute l’ho fatto anche io. È diventato uno dei miei posti preferiti. Mi scuso se ho mancato di rispetto a qualcuno».
In Pakistan Shams ha ancora i genitori, un fratello e cinque sorelle. In patria era perseguitato dai terroristi, dice, perché aveva un posto pubblico e dunque era considerato filo-governativo. «Fossi ancora a Islamabad, mi avrebbero già sparato. Sono arrivato nascosto nei camion, attraversando Iran, Turchia, Macedonia, Serbia, Ungheria e Austria». Poi l’arrivo a Gorizia, dormendo sotto i ponti e lungo le sponde dell’Isonzo. «Il viaggio mi è costato sei- settemila euro, tutti i miei risparmi – racconta –: ma non avevo scelta. Mi piacerebbe rimanere qui, ci sono tante persone di buon cuore e la vostra cultura mi affascina. In attesa dell’asilo politico lavorerei anche gratis».
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