Gli uomini e le donne che hanno fermato la chiusura di Electrolux

Il personaggio dell’anno a Pordenone non è uno. Sono migliaia. Donne e uomini che con la loro lotta hanno vinto la battaglia contro il gigante. Donne e uomini che hanno pianto, riso, passato notti al freddo e sotto la pioggia al presidio e in mezzo alla strada per salvare il posto di lavoro. Le donne e gli uomini di Electrolux sono il personaggio dell’anno a Pordenone. L’incarnazione stessa di una provincia che non vuole morire.
Eccoli lì, davanti all’ingresso nord di Electrolux. Arrivano con le loro auto, mamme e parà coi bambini. Electrolux è chiusa per il Natale, tira un vento gelido, ma loro hanno scelto il piazzale della fabbrica per raccontare le loro storie. C’è Bruno Cocco, il cuoco. C’è Daniele De Marco, il cambusiere del presidio. C’è Flavia Valerio, la delegata di fabbrica. E poi ci sono Susanna Morsanutto, Piero Santarossa, Paolo Zoia, Patrizia Tomasella, Davide Bars, Sylvie Battistella, Gabriella Del Zotto, Rosanna Infanti, Antonello Marconato, Francesca Furgaro, Michela Cortello, Pieri Vicenzotti.
L’inizio dell’incubo ha una data: ottobre 2013. E una parola: investigazione. La multinazionale svedese mette sotto esame lo stabilimento di Porcia. È l’anticamera della chiusura. Scatta la mobilitazione.
Ma è gennaio di quest’anno che le cose cambiano. A Mestre, tutti i sindacati dei quattro stabilimenti italiani di Electrolux (Porcia, Susegana, Solaro e Forlì) incontrano i responsabili del gruppo con i sindacati nazionali. I manager si presentano con i piani solo per tre stabilimenti. Per gli svedesi, quello di Porcia non ha faturo. Un “nazionale” sussurra: «Avete capito che vi vogliono chiudere?».
Sei parole per cancellare il futuro. Partono gli sms per Porcia, i sindacalisti arrivano, subito le assemblee, poi tutti sul piazzale. Ma non basta: i dipendenti che si preparano alla lunga lotta organizzano un presidio che durerà quattro mesi e mezzo. «Qualcuno ha portato la prima tenda, il primo gazebo – racconta Flavia Valerio –, eravamo decisissimi a non mollare».
Turni sette giorni su sette, 24 ore su 24. Scioperi e picchetti. L’astensione dal lavoro scatta a scacchiera, in modo che gli operai non perdano troppi soldi. Pietro Mancino, rsu Fiom: «Ma comunque ogni lavoratore, nei mesi di lotta, ci ha rimesso 1.200 euro, almeno». Il piazzale dell’ingresso nord diventa un villaggio, un esempio di socialità e solidarietà. Davide Bars è sicuro: «Eravamo colleghi, ma non ci conoscevamo veramente. Con l’avventura del presidio siamo diventati amici. Ci sono famiglie che si frequentano ancora, i figli sono ormai compagni di gioco fissi. A casa si viveva male, c’era l’incertezza del futuro, il terrore di perdere il lavoro. Quando si arrivava qui quasi quasi di dimenticavano i problemi. Sembra brutto dirlo, ma è così. I Papu sono venuti a farci fare due risate. L’unione e l’amicizia ci ha resi più forti».
Ma come si fa a mandare avanti un’occupazione con gente che deve mangiare, dormire, passare il tempo? Entrano in scena Michele De Marco e Bruno Cocco. Il primo organizza i rifornimenti, il secondo sta in cucina. «Oh, mica scherzi: 40-50 coperti al colpo». E poi c’è la solidarietà della città. Il fornaio ogni mattina fa il pane per tutti, la signora cucina il sugo per la famiglia e ne fa arrivare una pentola. Portano la La legna per i falò, «Ehi, noi abbiamo lottato per un territorio, persino i camionisti che bloccavamo con i picchetti stavano dalla nostra parte».
Tutti stavano dalla loro parte. Un giorno piove che Dio la manda ma non importa: via, blocco della Pontebbana. «Fradici, bagnati che di più non si poteva. La polizia ci ha riportati qui al presidio in auto, per farci un favore». Un altro giorno, un altro blocco della statale. «Io saltellavo da una corsia all’altra per rallentare le auto – racconta Davide Bars –, un carabiniere vede e mi fa: “Lascia stare, ci penso io. Basta che allungo una gamba e si fermano tutti”. Era o non era dalla nostra parte?».
La protesta diventa nazionale. Su Facebook c’è una pagina, “Quelli che lavorano in Electrolux”. Cominciano ad arrivare i politici. Patrizia Tomasella «C’erano le votazioni, venivano tutti. Ma chi ci è stato più vicino è stato il sindaco di Pordenone. Claudio Pedrotti chiamava ogni giorno, chiedeva di cosa avevamo bisogno. Si vede che è stato un nostro collega...».
Mesi e mesi di presidio. Mesi e mesi di trattativa. L’azienda premeva. Il giorno della firma dell’accordo a Roma, a maggio, è stata una vittoria, ma non è piaciuta a tutti. Qui non è finita. «C’è ossigeno e lavoro fino al 2017, poi l’azienda riattaccherà la solfa della Polonia. Ma tutti sanno che siamo pronti a ricominciare».
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