Gli effetti collaterali sulla nostra volontà
UDINE. Non ne sapevo niente. Uso la tecnologia entro i limiti della necessità, ovvero non me ne servo come passatempo, gioco, ricerca di identità alternative o di amicizie. Aggiungo che di questo non mi vanto, come non biasimo chi lo fa.
La notizia del successo di questo gioco, il Pokemon Go, mi è arrivata con le immagini dei soliti americani entusiasti e ridenti che rincorrono i fantasmini annunciati in Central Park. È una bella pubblicità per i produttori del gioco: appena uscito, già spopola! Ma si sa, quelli sono gli americani…
E gli italiani? E i nostri concittadini? I miei vicini di casa? Mi dicono (io non li ho visti) che stanno impazzendo pure loro. E come? Li hanno visti correre di qua e di là senza meta, puntando il portatile verso il nulla con gesto da cecchini, o abbandonare la conversazione con un sussulto, partendo in cerca del loro bersaglio, oppure tenere riunioni segrete sui presunti veri segreti del gioco.
Infatti, chi scarica l’applicazione può ricevere in qualsiasi momento l’avviso che c’è un “fantasmino” in un determinato luogo: se arriva in tempo per inquadrarlo con il suo smart phone e colpirlo, riceverà dei punti che gli permetteranno di passare – con rinnovato vigore – al livello successivo della sfida.
Ebbene che c’è di male? Ognuno è padrone del proprio tempo, no? C’è anche chi scrive poesie (per dire). Eppure ci sono scenari imbarazzanti: frenate criminali e inversioni a U, carrozzine abbandonate con bambino a bordo, il padre di famiglia che inquadra il deretano di una quindicenne (il fantasmino sta sul muretto dietro di lei).
E ci sono scenari più preoccupanti: ingenui attirati con l’uso di applicazioni pirata in luoghi deserti e poi rapinati, per esempio (è già accaduto), e altri che lasciamo immaginare.
Esagerazioni? Sì e no. Questo gioco si basa su quella che viene chiamata "realtà aumentata" e funziona in relazione interattiva con l’uso del geolocalizzatore che ognuno di noi ha nel proprio smart phone.
Non trovo preoccupante tanto il fatto che vi sia una volontà, da parte del giocatore, di inseguire per gioco un fantasma reale (reale perché effettivamente appare sul display in quel posto dove è stato annunciato). Non è il fatto che perda il suo tempo e che si diverta in un modo che si può ritenere futile, non è la sua volontà, ripeto, a porre problemi.
Pone un problema invece il fatto che la sua volontà (di divertirsi) è manovrabile (e manovrata) da qualcuno che sa dov’è e lo può portare dove vuole. Se immaginiamo tecnologie fini che riescano a costruire un profilo del “giocatore”, entriamo in un ambito in cui alla quasi innocua abitudine al gioco (che al massimo potrà causare qualche incidente, come per altri giochi accade) si sovrappone un meccanismo di cattura e di manipolazione.
Sarebbero da allertare i giocatori (soprattutto i genitori dei minorenni) non tanto sulle brutte figure e i piccoli disguidi che ne potranno nascere, quanto sui pericoli personali e patrimoniali ben più seri, che non verranno da questo ben studiato gioco, ma dall’abitudine a frequentarlo e da chi saprà sfruttarne gli effetti collaterali.
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