Giordano Bruno Chiara: «La mia seconda vita, ora salvo gli ultimi»

Pordenone: il primario, lasciata la chirurgia, in Chapas per operare come 50 anni fa. E ora sogna un’esperienza in Africa
PORDENONE. La seconda vita di Giordano Bruno Chiara, l’ex primario della I chirurgia dell’ospedale di Pordenone, è cominciata dal Chapas, dall’ospedale San Carlos di Altamirano, in Messico dove ha svolto due settimane di volontariato insieme a un gruppo di medici italiani.
 
Nel gruppo anche Gianna Zanette, medico anestesista e rianimtore all’ospedale di Pordenone.
Partenza a pochi giorni dalla pensione, il 29 aprile, per due settimane nell’ospedale religioso di Altamirano.
 
E’ un paese di 20 mila abitanti, nel centro della selva Lacandona, comunità zapatista, seguace del subcomandante Marcos. Paese dedito alla agricoltura, dove il reddito medio è di 150 euro al mese. 
 
«Ci sono due ospedali – ha spiegato Chiara –. Uno è pubblico ma non è frequentato perché governativo (lì siamo in zona di ribelli), ed è a pagamento. C’è poi quello religioso, gestito da suore e gratuito».
 
Ogni anno le suore promuovono una campagna chirurgica grazie a una equipe formata interamente da personale italiano: per due settimane operano chi ne ha bisogno.
 
«L’equipe – ha proseguito l’ex primario di Pordenone – è coordinata da Massimo Foglia, ginecologo di Alba, e composta da Patrizia Casetta, strumentista, l’urologo Paolo Fasolo e l’anestesista pordenonese Gianna Zanette». Un’esperienza nata dieci anni fa e riproposta ogni anno.
 
«Sono state due settimane – ha raccontato Giordano Bruno Chiara –, durante le quali abbiamo operato circa 50 pazienti in condizioni che, dal punto di vista tecnico, noi avevamo circa 50 anni fa».
 
Interventi prevalentemente ginecologici e urologici ma grazie alla presenza di Chiara sono state eseguite anche colecisti, ernie e peritoniti. «Interventi che lì sono complessi – ha commentato il medico – perché la situazione è quella che è e anche la strumentazione non è quella dei nostri ospedali. Ma complessivamente è andato tutto bene: non abbiamo avuto nessuna complicazione e quando siamo partiti quasi tutte le persone operate erano state dimesse o erano in fase di dimissioni».
 
C’erano ammalati per raggiungere gli ospedali hanno dovuto camminare per 7 o 8 ore attraverso la selva. «Quando dovevamo dimetterli – ha sottolineato Chiara – dovevamo chiedere quanta strada dovevano fare. Generalmente, se era tanta, li tenevamo per due o tre giorni in più».
 
Per due settimane hanno lavorato per 12 ore al giorno. Tra le storie incrociate, in queste due settimane di volontariato anche la storia di una ragazza di 26 anni, per un problema intimo «causato da un trauma da parto a 19 anni – ha proseguito Chiara –: era stata portata a partorire nella selva e c’erano state complicazioni che avevano messo in pericolo la madre e il bambino. Siamo riusciti a risolvere la situazione siamo stati soddisfatti nel vederla guarita e ritornare a casa»”. 
 
L’equipe medica viveva in una foresteria del convento e l’accoglienza da parte della comunità locale è stata calorosa. «Tutti sapevano che saremo arrivati – ha spiegato l’ex primario – ed era bello camminare per la strada perché tutti ci riconoscevano e ci salutavano calorosamente».
 
Unico problema, non da poco peraltro, gli strumenti, vecchi e in numero esiguo, oltre alle condizioni decisamente diverse da quelle delle sale operatorie cittadine. «Sarebbe bello – ha concluso Chiara – che l’ospedale di Pordenone facesse un gemellaggio o che attrezzature o strumenti che non vengono più utilizzati potessero andare in Chiapas. Basterebbero pinze, forbici e strumentazione che qui viene dismessa».
 
Chiara ha assicurato che tornerà in Chiapas anche l’anno prossimo e spera di fare anche una esperienza in Africa.
 
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